A distanza di un anno da Warpaint, il gruppo rock dei fratelli Robinson torna con un altro album in studio: Before The Frost, come il precedente sotto la label di proprietà Silver Arrow. Accompagnati in studio dai fan, i quali si fanno sentire con applausi, fischi e simili, i Corvi partoriscono un album calmo e tranquillo, da ascoltare ricordando quelle atmosfere da mega-concerto rock anni sessanta, sdraiati sull’erba tra bandiere della pace in un pomeriggio assolato. La formazione è la stessa del precedente lavoro, profondamente mutata dagli anni iniziali, la quale mette nel disco blues, southern, un po’ di hard, e quant’altro concerne alla musica dei Black Crowes.
La prima traccia degna di nota è Appaloosa dopo le prime due che scorrono piacevoli all’ascolto, Good Morning Captain, con le tastiere di Adam McDougall che danno il via al disco, e Been a long time (waiting on love), con accenni a quel blues che i ragazzi conoscono bene.
Il brano numero tre è una ballata che ha molto a che fare col southern rock. Un pezzo che mette da parte l’hard per lasciare spazio agli accendini e a chitarre slide. L’atmosfera è emozionante, di chi ha reso onore negli anni novanta alla musica rock, con atmosfere rock molto vintage.
Passando per la già sentita e risentita A train still makes a lonely sound si arriva a I ain’t Hiding. Il basso di Sven Pipien apre le danze alle chitarre di Rich Robinson e Luther Dickinson che si dilettano in eclettismi decisamente distorti fino a ogni ritornello dove la band alza la voce con un sound più diretto. L’assolo di Rich arriva puntuale anche su queste frequenze (ed è fottutamente rock, molto buono!) prima di lasciare spazio all’ultimo ritornello che chiude il pezzo tra gli applausi e le voci dei fan in studio. E’ questo il pezzo decisamente più interessante del disco che lascia affacciare il rock classico e senza fronzoli dei Corvi alla finestra del rock contemporaneo, senza mai snaturare però la natura della musica che contraddistingue il gruppo da sempre.
Il riff rock di Kept my soul sembra il punto giusto d’incontro tra Eric Clapton e Angus Young, ma il pezzo si spegne via via dell’entusiasmo iniziale (forse a causa del ritmo blando e cadenzato) tra l’accompagnamento chitarristico alla Rolling Stones e la voce blues, sporca e graffiante, di Chris Robinson, che lavora comunque bene.
“Qual è la casa per me?” cantano i corvi a più voci nel pezzo successivo (What is home) con un banjo che nella parte iniziale la fa da padrone tirandosi dietro a poco a poco il resto dell’orchestra blues. I Creedence nella mente e The Band nel cuore: il revival dei Black Crowes che pesca idee a piene mani dalle miniere della musica popolare americana.
Houston don’t dream about me è una ballata senza nulla in particolare da dire; Make glad è un pezzo che nella parte finale diventa incalzante con le percussioni di Steve Gorman che si accompagnano alle chitarre di Rich e Adam.
L’honky tonk di And the band played on suona molto bene con i ragazzi che mantengono fede anche nel presente al titolo stesso del brano. Chris alla fine ringrazia ad alta voce i fan deliziati.
Un testo struggente regalato a voce calda e la chitarra di chi conosce il blues e lo conserva anche oggi danno vita a una ballata perfetta, spalleggiata a tratti da un violino e da un banjo, con tanto di cappello al folk rock che ha fatto storia. Questa è Last place that love lives, il pezzo decisamente migliore per chiudere l’album tra gli applausi dei fan e la voce di Chris che ringrazia per l’ennesima volta.
Un album terapeutico, di facile ascolto, con qualche buona idea e tanta voglia di rock che però non si scatena, non accelera mai.
I Black Crowes sembrano un gruppo in rotta col passato che li ha plasmati, il quale oggi gli regala solo una colonnina da dieci righe sullo stesso giornale che in copertina, negli anni d’oro, lanciava il gruppo nell’orbita dei più grandi gruppi rock del momento.
Il gruppo sarà ora impegnato in un lungo tour che girerà per i mausolei della musica rock americana. Si è ancora all’oscuro di probabili date europee o italiane.
Autore: Antonio Lamorte