A primo acchitto è tutto molto semplice: musica popolare, con temi semplici e rituali, scale armoniche scolpite nella roccia, plot stereotipi, suoni riconoscibili. Il tutto suonato col tocco esperto e la maestria che una band, anzi meglio e più letterale una “banda” di musica tradizionale sa dare.
Invece così semplice davvero non è, perché dietro l’ appeal e la compattezza di quella che una delle più interessanti compagini di musica tradizionale attualmente in circolazione, c’è un operazione esteticamente apprezzabile (oltre che ovviamente meritevole come intento).
Il network di artisti e musicanti che prende il suggestivo nome di “Ardecore” decide di affrontare il rimosso di cui si è normalmente vittima nei confronti del nostro patrimonio popolare, percorrendo intelligentemente la scelta di una rilettura personale ma asciutta della forma-canzone romanesca, senza nessuna concessione di troppo all’agiografico ne tantomeno al naive.
Quest’aspetto emerge prepotentemente nel bouquet di brani scelti da inserire in questo primo capitolo del progetto (già in preparazione il secondo con la probabile ghiottissima collaborazione di Marc Ribot), e rappresentati fedelmente in quest’episodio live: affreschi cupi, intrisi di mistero, cornici di episodi crudi e crudeli, in cui personaggi generosi portatori dei più solari valori, si controbilanciano, come nella migliore fabula melodrammatica, ad un’umanità cinica e disperata (“Lupo de Fiume“).
La gioventù gaudente di molti spaccati romaneschi è lontana milioni di chilometri. Nelle tragedie classiche degli Ardecore tutto ha conseguenze serie: il carcere, la morte, pure nelle storie d’amore (“Madonna dell’ Urione“). Lo stornello a tal proposito più interessante è “Come te posso amà“: palinsesto vecchio trecento anni, nel quale al tema principale (il lamento di un prigioniero politico per la perdita della libertà e dell’amata) via via si sono aggiunte varie suggestioni (una su tutte, l’invasione dei turchi alle porte della capitale), fino a rendere il risultato giunto a noi affascinante e misterioso.
Sul palco del Duel diverse cose variano rispetto alla dimensione di studio. Manca il lavoro di cesello della chitarra elettrica di Geoff Farina (Karate), e di conseguenza manca una certa atmosfera malinconica di sapore tex-mex evocata dai suoi suoni. Allo stesso modo il misuratissimo collante che gli Zu hanno imbastito su disco, nella resa live si frammenta con risultati diversi ma altrettanto piacevoli. E’ anzi sorprendente scoprire il risultato di queste solide ballate contrappuntate dal sax di Luca Mai ed imperniate su impressionanti pattern di batteria tessuti da Jacopo Battaglia in linea col più colorito nu jazz degli Zu; e come queste soluzioni si fondano con la fisarmonica, questa si, tradizionalissima, di Luca Venitucci.
Un suono nel complesse più saturo. Intatto è invece il cantato di Giampaolo Felici, cantante-cantore di questa umanità. Sempre coriaceo e coinvolgente.
Un concerto più da piazza che da teatro, per una musica doverosamente in grado di essere portata in strada, da cantare a squarciagola col cuore in mano.
Autore: PasQuale Napoletano