E’ tutta colpa della aspettative alimentate da dieci anni di attesa, se “deludente” è il primo aggettivo che mi viene in mente per il concerto appena finito, mentre vengo trascinato dal lento fiume di persone che si avvia verso l’uscita Brixton Academy.
“Give Up“, l’unico LP pubblicato dai Postal Service di Ben Gibbard (Death Cab for Cutie) e Jimmy Tamborello (Dntel, Headset), è un disco che ho consumato a furia di ascoltarlo, a cui sono particolarmente affezionato e che a ben ragione è diventato negli anni un piccolo disco di “culto”, per il suo modo così efficace e originale (all’epoca) di combinare beat elettronici e scrittura (indie) pop. Un disco che i due realizzarono senza mai incontrarsi, spedendosi le registrazioni via posta (da cui il nome stesso del progetto), e che per questo avevo sempre associato ad una dimensione “intima”, “domestica”, artigianale.
Che sia impossibile riprodurre quel tipo di mood in un posto gremito da cinquemila fan adoranti (lo stesso numero atteso il giorno seguente, due date di fila sold out da mesi) è perfettamente comprensibile, ma sovraccaricare quelle canzoni – che erano così belle proprio perché semplici e senza fronzoli – della classica sovrastruttura da “mega concerto rock”, non può che fare uno strano effetto. Tamborello sembra quasi a disagio nella sua mega-consolle piena di luci a led, e Gibbard è semplicemente irritante con i suoi balletti e le sue movenze che manco il cantante dei Killers. Sul palco ci sono anche Jenny Lewis (che era presente anche nel disco disco) e Laura Burhenn (Mynabirds, Bright Eyes), ma se la presenza della prima è resa necessaria dalle parti vocali che sarebbe stato triste sostituire con dei campionamenti (bello il duetto in “Nothing Better“, in cui Jenny interpreta la parte che nel disco era di Jen Wood), non si può dire lo stesso della seconda, che francamente è poco più che scenografica.
Le canzoni in scaletta sono tutte quelle del disco, ovviamente, oltre ai due inediti inclusi nella recente ristampa “deluxe” (la scialba “A Tattered Line of String” e l’accativante “Turn Around“), una cover di “Our Secret” dei Beat Happening e “(This Is) The Dream of Evan and Chan”, presa in prestito dal repertorio di Dntel. Sulle prime note di “Such Great Heights” c’è un boato della folla, e allora Gibbard chiede: “a quanti di voi questa canzone piaceva già nel 2003? siate sinceri!“, e sono davvero poche le mani che si alzano. Solo in quel momento mi rendo veramente conto di quanto sia giovane il pubblico che mi circonda.
In realtà forse non mi ero mai reso veramente conto di come il gruppo, nonostante la sua lunghissima assenza dalle scene, fosse diventato incredibilmente popolare anche tra quelli (e sono tanti, a quanto pare!) che andavano ancora alle scuole medie quando fu pubblicato “Give Up” (disco di platino, secondo solo a “Bleach” dei Nirvana in quanto a titoli più venduti del catalogo Sub Pop!). Il concerto che, purtroppo, scorre via senza grandi emozioni, si conclude con “Brand New Colony” e il malinconico ritornello “everything will change…“, che Gibbard canta cercando di ottenere il coro del pubblico (senza pensare però di rivolgere il microfono verso la platea). Il ritornello risuona ancora nella testa (e qualcuno lo continua a canticchiare) quando le luci in sala si accendono. Everything will change. O più probabilmente è già tutto cambiato, e non sarà mai come prima.
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autore: Daniele Lama