Se n’è fatto un tale parlare di questi canadesi che mi trovo quasi in imbarazzo nel cercare die sprimere ciò che, fuori dai nostri confini (il disco da noi arriva solo ora, a più di un anno dalla release originaria), è stato già ampiamente sviscerato. Sottrarvisi potrebbe costarmi il tesserino (che non ho), quindi eccoci qua, un disco fra tanti, un disco come pochi.
Già, ad aver fatto il giro del mondo è quella che può sembrare una fiaba. Un tot di amici cominciano a suonare insieme, attirando l’attenzione di colleghi, amici, e la band si allarga, di più, si apre, ogni volta a componenti nuovi. Ci sei? Dentro, allora. Se no ripassa, la porta è sempre aperta. E mettiamoci pure l’etica DIY: la Arts & Crafts altri non sono che loro stessi. Il risultato è che oggi all’interno dei Broken Social Scene ruotano più o meno una decina di elementi. Faccenda diversa, però, dai connazionali Godspeed You! Black Emperor (peraltro di Montreal, mentre qui ci lanciamo alla scoperta di un’altra location, Toronto). Lì le implicazioni “extra-rock” –in ambito tanto strettamente musicale quanto estetico-concettuale – si sprecano, facendo veleggiare quell’esperienza musicale verso lidi estranei al consumo “facile”.
Con questo discrimine non è che si vogliano spalancare a Drew, Canning (membri fondatori) e soci i cancelli del successo commerciale, per il quale bisogna fare i conti con fattori anche poco “artistici”. Però è sicuro che il pubblico rock sarà più predisposto, invogliato dall’innamorarsi di questa incredibile creatura. Perché sì, ne abbiamo viste tante di band capaci di essere “dreamy” e “noisy” al contempo, come se l’armonia tra queste due “forze” (altrimenti detto: melodia e rock, intimità ed esuberanza, cervello e cuore, ingegno e istinto) fosse la chiave della consacrazione artistica. Poche però ci riescono con la naturalezza, l’apparente semplicità (= talento, attenzione) di questo manipolo di disinvolti esploratori.
Allora cos’è, il disco o i singoli brani la chiave del loro successo critico? C’è un singolo che spacca, un refrain che annulla qualsivoglia d’altro abbiate in testa? Sì e no. Brani che abbiano la “completezza” di un singolo ce ne sono. Ma sono la quasi totalità di quelli presenti. E’ il principio della parte per il tutto a trovare applicazione in “You Forgot It in People”, rendendo preferibile l’ascolto “integrale” di esso anziché, appunto, di parti. Saranno l’adrenalina di ‘KC Accidental’ e ‘Almost Crimes’, o la morbidezza di ‘Lover’s Spit’ e ‘Looks Just like the Sun’, o la solare freschezza di ’Pacific Theme’ – giusto per citare alcuni, rimpiazzabili, titoli – gli highlight di questo album, ciò non ha molta importanza. Gli “n” canadesi riescono ad amalgamare i brani in modo da rendere l’ascolto di uno quasi imprescindibile da quello degli altri, come la sequenza di un film o di un viaggio, senza tuttavia che tra gli stessi ci sia un particolare nesso concettuale.
Riferimenti. Occorrono? Io preferisco porre l’accento sulla – già accennata – disinvoltura. Potranno sembrare i Mercury Rev, a tratti, o anche qualcosa del concittadino Manitoba non troppo a contatto con l’elettronica, o in genere tutto ciò che fa dirottare il rock verso contesti para-sinfonici. Ma ripeto, se i Broken Social Scene sono sui magazine (anche quelli grossi e superficiali – sapeste cosa mi aspettavo da loro quando ne ho letto sul NME!) di mezzo mondo, questo dipende dal riuscire a dare lezioni di arte senza mai salire in cattedra, e a fare della leggerezza una dote anziché il presupposto del vendersi a buon mercato
Autore: Bob Villani