L’anno appena trascorso non si può certo considerare significativo per le vicende del rock australiano contemporaneo, fatta salva qualche eccezione. Assai più importante, a conferma di un trend in atto da diverse stagioni, è invece l’attività di “archeologia musicale” che riporta alla luce gemme sonore dell’Aussie-rock da tempo fuori catalogo.
Come l’omonimo album dei VISITORS, formazione post-Radio Birdman in cui si ritrovarono Deniz Tek (chitarra e cori), Ron Keeley (batteria) e Pip Hoyle (piano e organo), arruolando poi l’ex roadie Mark Sisto alla voce e il bassista Steve Harris, già con i Passengers di Angie Pepper e Deniz Tek. A rimasterizzare e ristampare l’album, con una copertina completamente diversa, ma con un libretto ricco di foto inedite e note biografiche, è l’etichetta che lo pubblicò originariamente nel 1981: la Citadel. Per certi aspetti i Visitors possono essere considerati la continuazione diretta dei Radio Birdman, una sorta di “fase due” della straordinaria band di Sydney: è Deniz Tek ad apporre la firma in quasi tutti i brani, mentre il sound, che nel frattempo si è fatto meno convulso, è tutto giocato sull’equilibrio tra la chitarra di Tek e i preziosi arabeschi del piano di Pip Hoyle. Il risultato è affascinante e visionario, come dimostrano sin delle battute iniziali la stupenda “Living World” o la lirica “Brother John”, dedicata all’amico di una vita, e boss della Citadel, John Needham. Con “Haunted Road”, poi ripresa anche dai New Race, durante il loro primo e unico tour australiano, esce fuori il versante più aggressivo e detroitiano del quintetto. Ma è quello più eclettico e suggestivo a plasmare la maggior parte delle composizioni del disco: da “Life Spill” alla spettacolare “Journey By Sledge”, una cavalcata sonora che riparte esattamente da “Descent Into Maelstrom” dei Birdman, sino a “Disperse” che inizia tratteggiando atmosfere dilatate per poi trasformarsi in un incubo a occhi aperti. “Sad TV” e “Miss You Too Much” sono invece due brani provenienti dal repertorio dei Passengers: episodio brillante e incisivo il primo, assolutamente romantico il secondo. Mentre “Let’s Have Some Fun” è uno spettacolare brano power-pop, come pure di grande impatto è “Hell Yes”. In chiusura invece i Visitors piazzano “Skimp The Pimp”, un brano dei TV Jones, la band pre-Birdman di Deniz Tek, che sintetizza perfettamente il suono contemporaneamente aggressivo ed eclettico del quintetto.
Tra le ristampe da “top ten”, troviamo pure uno dei capolavori assoluti del rock australiano: “Free Dirt” dei DIED PRETTY. Questa nuova edizione curata dalla Aztec Music si espande su due Cd. Non soltanto racchiude le nove tracce originali dell’album, ma pure i primissimi singoli della band (già raccolti anni or sono dalla Citadel in un Cd intitolato “Pre-Deity”): vale a dire “Out Of The Unknown”, “Mirror Blues”, “Stoneage Cinderella” e l’ep “Next To Nothing”. Più altre dieci bonus tracks di demo, brani live e registrazioni radiofoniche. Un menu davvero succulento che ci fa gustare appieno il sound della grandissima band guidata da Ron Peno e Brett Myers.
Negli anni ’80 i Died Pretty furono una delle sorprese più belle della terra dei canguri, con un nutrito seguito di fans anche da questa parte dell’emisfero. Non a caso: la loro tessitura sonora riusciva a sintetizzare perfettamente influenze del passato e suggestioni moderne, in una formula originalissima ed emozionante. Erano psichedelici e oscuri, i Died Pretty. Evocativi e romantici. Facevano volare in dimensioni altre, toccavano le corde del cuore e lasciavano la fantasia libera di scorazzare per le praterie infinite della nostra mente immaginifica. E lo stesso effetto, gli stessi brividi, mette ancora oggi l’ascolto di brani come “Just Skin”, “Out of The Unknown”, “Next To Nothing”, “The 2000 Year Old Murder”, “Blue Sky Day”, “Desperate Twist”, “Ambergris”, solo per menzionarne alcuni. Occasione irripetibile, dunque, per portarsi a casa uno dei dischi più belli degli ultimi 25 anni. Un pezzo di storia dell’Aussie-rock.
Sempre su due Cd è la raccolta che riapre una pagina splendida, ma parzialmente dimenticata, del rock australiano degli anni ’80: la vicenda artistica dei MOFFS. A tirare via la coltre dell’oblio dalla formazione di Sydney è ora la Feel Presents di Tim Pittman che pubblica “The Collection”: ben trenta brani racchiusi in una confezione “deluxe”, con un booklet di 26 pagine ricchissimo di note e informazioni biografiche sulla band guidata da Tom Kazas. Nei due Cd viene presentata l’opera omnia del quartetto australiano: il primo demo, tutti i singoli (inclusi i famosi “Another Day In The Sun”, “Flowers” e “The Traveller”, che scalarono le classifiche indipendenti australiane al momento della loro uscita), l’omonimo mini-album “The Moffs” e l’ellepì “Labyrinth”, più alcune cover e altri brani inediti, registrati solo su demo.
I Moffs erano una band del tutto particolare, non solo nel catalogo della Citadel, ma anche nell’intero panorama australiano dei medi anni ’80: non suonavano né garage, né vibrante rock’n’roll chitarristico, ma affondavano le loro radici nel pop e nella più tenue psichedelia dei Sixties. Con risultati eccellenti. Come testimoniano le canzoni qui presenti. Paesaggi sonori dai colori pastello, melodie soffuse, a volte innervate da sussulti ritmici (come nella stravagante e po’ barocca “Clarodomineaux”, flipside del primo singolo), psichedelia di marca inglese, soffice e impalpabile.
Pur non negando le loro molteplici influenze, i Moffs riuscirono nell’intento di creare un sound originale e particolarissimo: a volte ipnotico (“Tomorrow Never Knows”), più spesso onirico e meditativo (“I’ll Lure You In”), non privo di suggestioni malinconiche (“Confusion”, “By The Breeze”). Una peculiarità che li fece conoscere anche al di fuori dei confini nazionali, collocandoli tra le più particolari formazioni neopsichedeliche di quel decennio.
Ancora Feel Presents, grazie al prezioso lavoro di archivista di Tim Pittman, licenzia un altro tassello importante nel puzzle dell’Oz-rock degli anni ’80: “Happy Town Sounds (Singles, Live & Rare)”, in pratica tutto quello che c’è da ascoltare dei SEKRET SEKRET, formazione di Sydney in attività dal 1979 al 1984. Cinque anni in cui, passata quasi la tempesta punk, si stava forgiando il nuovo suono australiano. E’ su quel territorio di confine che si inseriscono i Sekret Sekret. Il loro sound non era punk, non era new wave, neppure paysley/psichedelico, ma possedeva qualcosa di ognuna di queste tendenze sonore. Nei cinque anni di attività la band, in cui militava il chitarrista Danny Rumour anche nei Cruel Sea, pubblicò solo quattro singoli, qui tutti inclusi, ma lasciò una manciata di altre tracce registrate in demo e in occasionali cassette registrate in studio, dal vivo o presso emittenti radiofoniche.
Materiale che mette in mostra un sound tanto variegato che va dal pop scintillante di “Charity” alle sonorità elettroacustiche di “Puppets” passando per la grinta di “Wear Glasses”, le raffinatezze di “New King Jack”, loro singolo di maggior successo, i chiaroscuri di “Lace”, la freschezza di “Chimes” sino alle cover di Lucifer Sam (Pink Floyd) e “Here She Comes Now” (Velvet Underground). Anche in questo caso è incluso un libretto di 26 pagine che ripercorre l’intera storia del gruppo, con foto e aneddoti gustosi.
Sempre volgendo lo sguardo al passato ci imbattiamo in “Nailed To The Cross”, raccolta dedicata ai SACRED COWBOYS, di recente tornati in attività con un bell’album, “Cold Harvest”, via Bang!.
L’antologia di cui ci occupiamo, pubblicata da Savage Beat!/Shock, raccoglie la primissima produzione del gruppo guidato dal cantante Garry Gray e fotografa il periodo 1982 – 1985. La formazione australiana era artefice di un sound oscuro, che mischiava blues metropolitano, post-punk ossessivo e riferimenti classici, ovviamente stravolti. Nel repertorio live del gruppo di Melbourne trovavano infatti posto brani di Bob Dylan e dei Suicide, dei Creedence e di Alex Chilton, dei Beatles e dei Modern Lovers, di Captain Beefheart e dei Cramps. Chitarre affilate come lame, basso rimbombante, batteria minimale e precisa, e una voce notturna e inquietante erano le caratteristiche di un gruppo formidabile. Ne sono dimostrazione brani vissuti ed ebbri di una lancinante tensione emotiva come “Twisted Nerve”, “Strip Cell”, “Nailed To The Cross”, “Loaded Skull”. Il doppio Cd in questione racchiude il seminale singolo “Nothing Grows In Texas/Is Nothing Sacred?”, l’omonimo mini-album di debutto, uscito nel 1983 su White Records, l’album postumo “We Love You…of Corse We Do” e un intero esaltante concerto dal vivo registrato per l’emittente radiofonica 333R nell’agosto del 1983. Una perfetta fotografia del sound potente e affascinante della band. Assolutamente consigliato.
Chiudiamo questa lunga carrellata di ristampe con “Dumbworld” (Savage Beat/Shock), un Cd che racchiude le tracce di oscure formazioni punk australiane guidate da Garry Gray prima di formare i Sacred Cowboys: NEGATIVES, REALS e Judas & The Traitors. Band eccezionali, a partire dai Reals, che assieme ai Babeez e ai Boys Next Door di un imberbe Nick Cave, furono i “prime mover” della scena punk di Melbourne. Il Cd in questione, oggetto di culto per tutti gli “studiosi” della materia, contiene 19 vibranti episodi che documentano il passaggio dai Reals ai Negatives (autori di un classico del punk australiano come “Planet On The Prowl”) e racchiudono pure tre brani della formazione proto-punk Judas & Traitors risalenti al 1974: un pezzo di storia del rock dei nostri antipodi.
Autore: Roberto Calabrò
www.citadel-records.com – www.myspace.com/diedpretty – www.myspace.com/themoffs – www.myspace.com/sekretsekret