C’è molto da dire sui dischi per i quali sembra ci sia poco da dire. E’ la storia che si ripete quando un disco (un artista) non sembra né carne né pesce – nel senso di non riuscire a inscriverlo in nessuna “scena” o “filone” – e non mertita di essere liquidato in poche parole. E se di parole non ne leggete moltissime, è giusto perché nell’arco di 24 ore ci sono anche altre faccende da sbrigare (ma ce caviamo con l’etichetta di “ascolto consigliato” per farvi capire che il disco vale).
Ok, in buona parte vi ho già detto il “finale”, ma la verità è che Faris Nourallah, signor nessuno di cui non vedrete mai merchandising, fan club e simili vestigia di un seguito, ha la stoffa di chi riesce a fare pop songs secondo un estro compositivo che pare sigillato a chiusura stagna da ogni tentativo di condizionamento esterno (dal punto di vista stilistico, ma anche da quello della tempistica “commercial-oriented” del mercato discografico), ma che allo stesso tempo riesce in questo giochetto: assorbe come una spugna l’andazzo musicale dagli anni 60 in poi ma lo rende in modo che il proprio marchio non sia sospettato di contraffazioni. Ecco: il mondo di Faris Nourallah sembra precorrere ogni distinzione di generi, anzi la fa apparire come un’inutile categorizzazione mentale che complica solo la vita: pop music e basta, come fossimo in un’arcadia dove regna lo “stile”, non, appunto, il “genere”.
Forse si potrebbe sottolineare – a titolo di esmpio – che un brano come ‘Disenfranchised’ inizi come la pinkfloydiana ‘The Embryo’ per poi svoltare verso l’indole bucolica di un giovanissimo Bowie; che ‘I’m Falling’ sia una succursale texana dello spaziale elettro-pop 80 di una ‘Sexy Boy’ qualsiasi; che ‘Into the Void’ sia un brano da 35enni reduci da spenti furori punk, o che ‘Hit Me Again’ sia una di quelle schegge monche e brevissime che solo con i Guided By Voices sembravano avere un senso. In fondo sono tutti a suo modo dei “generi”, ma ci giurerei che il buon Faris ci sia arrivato senza neanche sapere – se potesse ascoltarci – di cosa stiamo parlando. Oltretutto per “King of Sweden” ha suonato, cantato e registrato senza l’aiuto di nessuno, a casa sua: sia lasciato libero di fare come gli pare, santiddio!!
Autore: Bob Villani