Tante idee sul piatto, per questa band veronese col nome di un rivoluzionario maya del 700, forse persino troppe, in un lavoro d’esordio che stordisce, con un turbine di concetti e ritmi musicali, così vari, soprattutto, con un entusiasmo urlato per 39 minuti senza cedimento, tra critica sociale dura, riferimenti etnici assortiti con fin troppa disinvoltura, invito a muoversi – a ballare, ma anche a reagire, schierarsi – una commistione di rock con anche il sintetizzatore, sparato a tutta birra, e poi ska, posse, ed il cantato hardcore, in italiano, costantemente sopra le righe, di Mirko Fischetti.
Alessandro Cuscov (tastiera, synth), Gabriele Consolino (batteria), Andrea Pontara (chitarra), e Damiano Martignago (basso), sono poi accompagnati da una quantità di strumenti etnici, suonati da Fabio Della Bernardina, e dopo una prima metà dell’album decisamente sparata a 100, stile Gogol Bordello, nel centro del lavoro queste tentazioni arabe s’impongono, beninteso su una base elettronica che intanto prende piede, mentre le chitarre indietreggiano, e qui sembra di sentire una versione italiana di Asian Dub Foundation e Fun-da-Mental. In questa parte, al microfono, canta di più Francesca Longhin, l’altra voce dei Jacinto Canek – si pronuncia “Hasinto Canèk” – che oltre ai 7 componenti, incide con la partecipazione di numerosi ospiti.
Molto bello il booklet, quello si, tutto disegnato come la copertina della confezione cartonata, contenente tavole a tema criminale, piene zeppe di armi, sangue e malavitosi, tra Kill Bill e mafiosi di provincia, con protagonisti proprio i componenti della band, camuffati, in pose cinematografiche. Sicuramente ci sono alcune cose da perfezionare in fase di scrittura, per questa band che ad ogni modo esordisce, una volta tanto, senza risultare derivativa, e che ad ogni modo deve esser bello vedere su palco, con tutto il ritmo che riescono a creare. Non hanno, tuttavia, canzoni che si distinguano particolarmente rispetto alle altre, mentre il loro cavallo di battaglia resta il singolo ‘Mio Nonno’; in ogni caso, mi pare che questo sia il primo disco dell’etichetta romana Cinico Disincanto che esca fuori dal seminato pop.
Autore: Fausto Turi