E’ morto suicida, a 95 anni, il padre della commedia all’italiana
Ha scelto un epilogo da film. Un finale – e non mi fraintendete – “spettacolare”. L’ultimo ciak della sua vita Monicelli l’ha voluto girare così: si è alzato dal letto d’ospedale, si è affacciato al balcone, si è lanciato nel vuoto, dal quinto piano. Non ce l’ha fatta il Maestro a chiudere la commedia senza tirare l’ultimo marameo al mondo. Il tumore non mi avrà, troverà solo carne morta da devastare, forse avrà pensato. Forse, ok: non ha lasciato messaggi, bigliettini, fantastichiamo, straparliamo. Resta a terra il dolore dei familiari e di chi l’ha amato attraverso i suoi film e la faccia solcata dalle storie disgraziate e gloriose che ha messo in scena, con la complicità di grandi scrittori. Un gesto dell’ombrello sparato lassù, in aria, a quella vigliacca sofferenza che costringeva il cineasta combattente nel reparto di urologia del San Giovanni di Roma.
Quasi cent’anni e tutta una vita davanti. Però non così, non dimezzato e mortificato nei muscoli e nella mente. E allora, ma nessuno potrà confermarlo, s’è donato in un secondo alla follia del gesto ultimo e terribile. Il corpo di Monicelli è stato trovato, straziato, dagli infermieri dell’ospedale nei viali vicino alle aiuole, a due passi dal pronto soccorso. Anche il padre, Tomaso, giornalista, morì suicida. Tanti film, una marea, per il gran capo della commedia all’italiana, un genere, di più, uno stile, che porta il suo copyright, unico al mondo che, se calibrato a dovere, li racchiudeva tutti.
Ne ricordo tre. “La Grande Guerra“: la prima volta che si mette in scena, sfacciatamente, Caporetto e la prima parolaccia del cinema italiano (Sordi: “Semo l’anima de li mortacci tua”). “Amici miei – atto secondo”, ché il primo era in realtà farina di Germi; una delle pellicole che meglio si accomoda nel verso “…qualcosa che assomiglia a ridere nel pianto…”. E infine “Un borghese piccolo piccolo”. Perché così il toscanaccio vedeva gran parte dei suoi concittadini. “Gli italiani sono fatti così: vogliono che qualcuno pensi per loro, perciò prima il Duce, poi Berlusconi…” ha detto in una delle ultime interviste, con gli occhi spiritati e clownesche lenti rosso pomodoro stampate sulla fronte. Aveva 95 anni.
Autore: Alessandro Chetta