Il trio giapponese – due ragazzi ed una ragazza – ha pubblicato in punta di piedi a marzo questo decimo disco in carriera; ma inaspettatamente in Italia c’è stata curiosità verso “Pink”, specialmente quando un giornale di musica del calibro di Rumore ha deciso di dedicare a questi perfetti sconosciuti, trascurati anche nella loro patria, una monografia di 4 pagine sul numero di marzo, con tanto di intervista (quelle telefoniche i Boris si ostinano a concederle soltanto in lingua giapponese!) e discografia consigliata.
I Boris sono figli putativi dei grandiosi Melvins – e del resto prendono il nome da una loro canzone… – soltanto con meno ambizioni sperimentative, compensate però da una grossa componente anni 70; la loro heavy psichedelia acida e tellurica, a pensarci, non poteva passare inosservata in questi mesi in cui si fa un gran parlare di gente come Sunn O))), Isis ed Earth ma, rispetto al look minaccioso di questi tre gruppi, personalmente dico che fa un certo effetto osservare questi tre giapponesini così apparentemente innoqui, che vestono ricercati come i Blondie Redhead e a parole prendono le distanze dal metal, e associarli alle 11 tracce “japa-noise” di “Pink”.
Il cantato in inglese del cantante Takeshi è sporadico, mentre il suo basso elettrico pesantissimo e slabbrato sostiene tutti i 55 minuti del disco, occupando stabilmente buona parte della banda sonora disponibile, ma il disco è comunque prodotto molto bene dai Boris, che sanno quello che vogliono riguardo ai suoni e al loro equilibrio.
La già citata direzione stoner anni 70 stracarica di fuzz (Blue Cheer) di tanto in tanto cede il passo a risvolti noise molto moderni, come nella coda finale della conclusiva ‘Just Abandoned Myself’ (psichedelica già dal titolo: stiamo parlando di un pezzo di 18 minuti!); ma i Boris s’esprimono bene anche in schegge di 2 minuti appena…
Scommetto che i Boris sono il gruppo che i Verdena vorrebbero essere, ma la prima e decisiva distanza tra loro sta nella sensazione di perfetto controllo che il gruppo giapponese ha, e che ancora manca al quartetto bergamasco.
Sono potentissimi, e se dovete buttare giù una parete di casa, non chiamate i muratori: puntateci contro le casse dello stereo con “Pink” al massimo volume ed il “bass boost” inserito… e attenti ai muri portanti, chè altrimenti crolla l’edificio!
Autore: Fausto Turi