Dopo molti anni di silenzio torna Boyd Rice, l’artista californiano che oggi affianca il proprio nome alla sigla Non con cui iniziò la carriera di musicista e sperimentatore industriale negli anni 80 – ricordiamo a suo onore che il primo seminale e storico album, pubblicato nel 1981, era stato già da lui inciso in realtà, ma non pubblicato, nel 1975… – ed è un ritorno che riprende proprio le sperimentazioni industriali, e dunque mette da parte il percorso di folk apocalittico e persino synth pop – il singolo intitolato ‘People’, del 2007 – intrapreso con Death in June e Current 93 dagli anni 90 in poi.
Lo sperimentatore, dalle provocatorie ma comunque deliranti, disgustose simpatie naziste sulle quali non ci dilunghiamo qui, incide 11 destrutturate sonorizzazioni dell’età moderna, con il campionamento dei suoni della fabbrica, eletta simbolicamente a tempio della disumanizzazione da quella generazione di artisti che nella seconda metà dei 70 intendeva l’avanguardia musicale in una nuova chiave sociale/antisociale – c’è Piero Scaruffi che da sempre sottolinea l’omogeneità dell’industrial con il punk, oltre a maltrattare da sempre l’opera di Non – e vedevano a prescindere nella società industriale le inesorabili fatali premesse dei cupi totalitarismi.
Solo in un paio di circostanze echi lontani di voci umane – grida in ‘Scream‘ ed in ‘Seven Sermons to the Dead‘, qualche parola ripetuta meccanicamente all’infinito – ed una strofa nella marziale, sinistra (ma chiaramente di estrema destra…) ‘Fire shall Come‘, che ripete tre volte: “Fire will come and judge and consume, all things, Fire, everlasting Fire”; vabbe’ potrebbero benissimo essere parole della bibbia o del corano, e questo anche fa riflettere.
In un tessuto rumorista ma minimale fatto di splendidi suoni analogici quasi sempre piuttosto fissi – l’omonima ‘Back to Mono‘, o ‘Man Cannot Flatter Fate‘, o la penetrante ‘Obey to your Signal Only‘ – suoni da tempo andati perduti coi sintetizzatori valvolari, in linea davvero con il (secondo) pionerismo del genere di Laibach, Neu! John Cage, gli italiani Kirlian Camera ecco che Boyd Ryce/Non recupera l’estetica industrial precedente alla contaminazione synth pop ed industrial metal degli anni 80; il disco si conclude con la cover di ‘Warm Leatherette‘, già ripresa in passato da una marea di band industriali, tra cui gli italiani Pankow.
Lavoro sorprendentemente accessibile, bisogna dire, non immediato e non adatto a chi si aspetta musica in senso tradizionale, ma in qualche modo ascoltabile con facilità, grazie probabilmente all’intento ambient che sottintende il progetto.
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autore: Fausto Turi