Sono passati più di due anni dalla data d’inizio attività della Systematic records. E’ ora arrivato il momento di suggellare la label con una prima antologia che può raccogliere il meglio dell’electro-house germanica contemporanea. Il mattatore indiscusso della miscellanea è Stephan Bodzin, spacciatore esperto di techno e house da anni e anima migrante attraverso varie labels quali Get Phisical, 2020 Vision, Gigolo, Datapunk e Systematic appunto, e che nel frattempo si prende anche la briga di mixare le diciassette tracce e i remix del meglio della dance da club qui contenute. L’esito è piuttosto scontato anche perché la techno moderna è un mostro a più teste che reclama spazio a furia di singoli e releases, nuovi volti, produzioni elettroniche e l’immortale dj-ing che oggi paradossalmente non si ascolta più solo tra i discotecari, che troppo spesso scelgono la quantità quasi senza origine, ed ecco che la techno e addirittura l’house arrivano a combattere su tutti i fronti, compreso quello degli indie-rocker che hanno accettato il concordato e per indole hanno quindi bisogno di nomi, aneddoti e dischi da inserire nella collezione. Ma il buon Stephan, che già in tenera età seguiva il padre con quelle strane macchine chiamate sintetizzatori, e l’elettronica l’ha nel sangue, non si crea questi problemi di “lotta di classe” ed in collaborazione con il prode Marc Romboy ti piazza “Atlas”, il pezzo che ti spiazza, la hit che si attacca alle pareti del cervello e se sei impaziente “skippi” per arrivarci il prima possibile, appena superi il senso di colpa del bypassaggio agli egregi Booka Shade alla traccia nr. 4.
Continuo ad essere critico circa l’uso superfluo del cantato e dei samples vocali su alcuni brani, penso che sia un viziaccio dance, derivato inefficace degli anni ’90.
Bodzin presenzia in tante altre occasioni, così come il suo fedele vice, Romboy, in circostanze cooperanti e non, soprattutto con i loro maggiori successi “Marathon man” per il primo e “Impact disco” per il secondo, anche se sarebbe un torto bello e buono non citare almeno Phonique, Dj Fex, John Dahlback, Zoo Brazil, eroi underground dei dancefloor di razza. Le immancabili e sempreverdi casse a quattro hanno un sapore diverso soprattutto perché s’inseriscono in un quadro electro non sempre semplicissimo, anzi il tempo non soffre mai gli stop and go e il groove resta intenso spalleggiato da riff di tastiere e pad di synth non troppo complicati, e proprio quando probabilmente la raccolta avresti preferito che terminasse, ad un certo punto, albeggia una seconda parte alquanto interessante ed intensa. Conclusione un po’ stralunata: cito una celebre e grande band tedesca che in passato diceva “Any colour is bad” … cosciente e assennato che “Systematic colours” is not too bad”!
Autore: Luigi Ferrara