Quattro tracce ambient dal taglio suggestivo, denso e soffocante, due delle quali otre i 10 minuti di durata, prodotte manipolando suoni originati dalla chitarra elettrica di Marco Bonini, musicista che porta avanti in solitaria il progetto uBiK da molti anni con 5 pubblicazioni prima di questa, che vanta un bel packaging fatto a mano da Gianmaria Aprile.
Affreschi sonori densi che evocano una modernità cupa, industriale e post-industriale, cibernetica, in ogni caso stritolante per un’umanità ormai superflua ad un meccanismo inanimato, un’umanità di cui infatti non c’è traccia concreta tra questi suoni; drone avvolgente, modulazioni industriali ossessive e spietate che si avvolgono su sé stesse in ‘Cruel, Cruel Summer‘, squarcio ambient, sonorizzazione paesaggistica incontaminata che per gradi si corrompe e si fa caos metropolitano in ‘Every Picture is a Fossil‘, spaesamento, immobilità, suoni profondi, tinte buie ed echi di ambienti colossali, sinistri, tarkovskijani, nell’affresco d’apertura molto mentale, intitolato ‘Aimlessly Spores’, imponente, terribile, gelida pesantezza come di attività extraveicolari nel vuoto cosmico in ‘Grains of Ataraxy‘, l’episodio più interessante per la trama, lo sviluppo, che ci ha ricordato analoghi lavori di Matthew Patton.
Anything you don’t See propone quattro esperienze meditative non rassicuranti ma di grande suggestione, ed uBiK è un musicista che merita attenzione in patria come all’estero.
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autore: Fausto Turi