Il 25 settembre al Suor Orsola Benincasa di Napoli, Frederick Wiseman ha presentato il suo nuovo film dal titolo “State Legislature” in occasione di un seminario sui Saperi della politica. Sebbene il dibattito cui ha partecipato dovesse essere una testimonianza vivida del dispositivo democratico americano, il regista di Boston, classe 1930, ha preferito rimanere nei territori del suo mestiere senza esprimere valutazioni degne di questo nome.
CHI E’ – Documentarista da quarant’anni (l’esordio “Titicut Follies” è del 1967) Wiseman è sempre stato nel cuore degli eventi che ha filmato pur rimanendone fuori per combattere l’eventuale parzialità dell’esaminazione. I suoi lavori sembrano non voler concludersi mai proprio perché il primo sintomo della incompletezza di un’opera documentaria è il suo finire: l’occhio del regista si chiude e la dissolvenza con la parola Fine compare sullo schermo trasmettendo automaticamente qualcosa di definitivo, a discapito di una realtà che invece continua a produrre altri eventi degni di metri di pellicola.
160 ORE A GIRARE – Per “State Legislature” Wiseman ha raccolto 160 ore di girato poi riassunti in 217 minuti dopo una intensissima attività di montaggio. Nel film viene mostrata la vita democratica dello stato dell’Idaho attraverso i dibattiti e le udienze sui disegni di legge, quantomai numerosi nel 2004, l’anno in cui si sono state fatte le riprese. La scelta è caduta su questo Stato perché le assemblee hanno una durata minore permettendo così al regista di poterle seguire tutte indiscriminatamente.
Il metodo di Wiseman è sempre lo stesso: una sostanziale ed incredibile invisibilità della macchina da presa calata negli eventi, quasi fosse un corpo fantasmatico, la punta di un sismografo senza sismografo. “Non è particolarmente complesso scomparire davanti agli occhi dei “documentati” – ha affermato – basta essere chiaro ed onesto fin da prima che si inizi a girare, illustrando esplicitamente le proprie idee e cosa si è intenzionati a fare del girato in seguito”.
NON GUARDARMI – Nonostante gli spazi incalcolabili che lo dividono dalle altre forme cinematografiche, in Wiseman è difficile (quasi impossibile) scovare uno sguardo in macchina almeno quanto nel cinema classico. Questo accostamento avviene per un palese contrasto, ma pure per un nascosto aggancio di pura materia cinematografica; DeMille non chiede di guardare in macchina, così come Wiseman taglia una scena in cui c’è stata un’interferenza di sguardi poiché la considera imperfetta. L’uno protegge la finzione, l’altro la realtà. Ma è praticamente sfacciato il modo in cui, in misura maggiore in “Welfare”(1975) ma anche in “State Legislature”, si dà una dimensione velatamente fictional alla registrazione oggettivante di una realtà senza centro. “Durante il montaggio vedo e rivedo il materiale finchè non isolo le sequenze più drammaturgiche e teatrali”. Si tratta di sposare il film stesso con una spettacolarità forse già presente, ma annidata e nascosta.
“Se fossero stati veri attori [i protagonisti dei documentari] non sarebbero mai stati così sinceri”. Per ottemperare alla drammaturgia bisogna esserle estranei, insomma. Paragonato a Michael Moore o Morgan Spurlock, Wiseman è infinitamente più scientifico (analiticamente attento alle storie), ma a differenza dei due è quello che più si avvicina al cinema di finzione. E, ovviamente, questo non significa che la benché minima assonanza con la forma mockumentary. Non c’è nessuna intervista né intrusione di una tesi nel discorso filmico: “Non faccio mai ricerche prima di un documentario, il film stesso è la ricerca”. Neppure i sopralluoghi sulle location fanno parte della preproduzione wisemaniana poiché se accade qualcosa durante le ispezioni preliminari “non la si può filmare”.
ISTINTO – Nell’attuazione di una indagine quasi atmosferica condotta con acume scientifico c’è però spazio per l’improvvisazione: “Una volta sul “set” mi faccio guidare dall’istinto, ad esempio posso iniziare a seguire una signora con un cappello strano presentendo che farà, di lì a poco, qualcosa di significativo : spesso faccio centro”.
Ma è nella fase dell’editing che Wiseman rivela un procedimento razionale composto dalla catalogazione delle sequenze in base alla loro efficacia (“metto le stelle, come la guida Michelin” una versione rivisitata del metodo Pliniano) cui si accosta la componente dell’istinto. “Nel montaggio non mi limito solo al momento razionale, quello istintivo a volte prende il sopravvento: le migliori idee vengono sotto la doccia, mentre si dorme”.
SUCCESSO – La Public Television ha mandato in onda, con discreto successo, la sua ultima fatica ma questi documentari dalla durata ipertrofica che vita hanno nelle sale? “Non mi interessa garantire una grande distribuzione ai miei lavori, preferisco invece che rimangano nella loro forma originale; nel 1975, 60 minutes (celebre trasmissione della Cbs) voleva trasmettere il mio “Welfare” in una edizione ridotta da 160 minuti a 45, rifiutai categoricamente perché io ho un obbligo verso coloro che mi hanno permesso di girare il documentario, sarebbe come tradirli”.
Infine Wiseman storce il naso appena si fanno cenni alla presunta oggettività dei suoi lavori: “La verità è impossibile da raggiungere, si dovrebbe filmare con almeno 360 telecamere, il che non sarebbe nemmeno sufficiente: è un’idea ridicola”.
Autore: Roberto Urbani