di e con Umberto Di Gregorio e con Valeria Bendoni
Rispetto al “Pranzo di Ferragosto” Di Gregorio toppa in un passaggio fondamentale: esce di casa. Fa per abbandonare le quattro mura domestiche costringendo il quadro a dilatarsi e distorcersi. La forza del “pranzo”, osannato a ragione da critica e pubblico, era racchiuso nel nucleo due camere e cucina: la tavola, le vecchiette che si fanno la guerra a bassa intensità, l’improbabile quotidiano che si fa storia. Scorre ogni cosa da sé, basta inventarsi giusto due battute e un cambio d’inquadratura: è la forza dei film da tavolo, tipo “Regalo di Natale” di Avati coi protagonisti inchiodati alla manche di poker.
Invece qui, ossessionato dal fantasma del gentil sesso che ritorna dopo lustri di quiescenza, Gianni vagabonda, e lo fa anche con grazia e acume, ma cantilenando il racconto. Del resto, dopo il fortunatissimo esordio bisognava osare per evitare il film fotocopia (anche se “Gianni e le donne” è un dichiarato follow up del precedente). Non va cestinato però intacca il mito del vigore neopop di Di Gregorio, che da simpatica canaglia badante si trasforma, qui, nel lattescente collezionatore di coiti falliti.
Finale di liberatoria e onirica sex-exploitation alla Alex di Arancia Meccanica. Donna Valeria (Bendoni) sempre un must, comprimari così così (ragazza del San Bernardo a parte). Provaci ancora Umbè.
Autore: Alessandro Chetta