Quarto album per la cult-band di S. Diego guidata da Armistead Burwell Smith IV (Zach, per gli amici) e Rob Crow. Gli ingredienti sono quelli di sempre: l’inconfondibile riffing di chitarra, ormai vero e proprio marchio di fabbrica del sound della band, le raffinate linee melodiche disegnate dalle due voci, i ritmi (programmati elettronicamente o acustici) cadenzati e mai sopra le righe, il basso che intreccia giri a sostegno delle melodie. Suoni cristallini e animo malinconicamente pop.
Rispetto al passato c’è forse una maggior dinamicità negli arrangiamenti, e una buona dose d’energia in più. La qualità delle canzoni è indiscutibile: alcune (“Good to sea”, la scoppiettante “From nothing to nowhere”, la sussurrata “Torch”) sono certamente memorabili. Ma, alla lunga, la formula dei nostri finisce per stancare. I Pinback sono degli abilissimi artigiani della canzone, e su questo non ci piove. Sono capaci di produrre musica emozionante e sincera partendo da pochi elementi. Ma la monotonia è costantemente in agguato.
Vicino casa mia c’è una trattoria dove si mangia veramente molto bene, ma il menù è sempre lo stesso, così dopo un bel po’ di volte che ho deciso di andarci, mi sono stancato. Ecco, i Pinback mi ricordano quella trattoria.
Autore: Daniele Lama