Il debutto di questa band londinese irrompe come un fulmine a ciel sereno in una scena inglese ormai saturata da un certo tipo di rock nervoso, scheletrico e contratto.
The Early Years riescono a combinare le loro influenze in un impasto che già adesso ha un proprio sapore: Velvet Underground, Spiritualized, i primi Verve e i primi U2, lo shoegaze e lo spacerock, la psichedelia.
La band si forma nel 2004 e con un primo demo entra subito nelle grazie della cerchia di addetti ai lavori che contano (primo fra tutti Steve Lamacq). Successivamente inizia a lavorare al disco di esordio con l’aiuto dell’ingegnere del suono Pat Collier (Jesus And Mary Chain, Primal Scream) e dopo 2 anni, nel 2006, il disco esce in Uk per la Beggars Banquet: un anno dopo arriva anche da noi.
La musica è poderosa e onirica allo stesso tempo, ragionata, come a voler miscelare momenti di furia sonora e quiete psichedelica: il disco vive di repentine accelerate che alzano il registro dell’album su toni a volte epici.
L’attacco “All Ones And Zeros” è perfetto dal punto di vista radiofonico, la successiva “Things” è compiuta e rilassata richiamando certe atmosfere disimpegnate di “Achtung Baby”, almeno finché non comincia a salire di tono per esplodere nel finale.
Il disco segue una propria estetica, passando dagli oltre otto minuti di “Song For Elizabeth” (dove viene dipinto uno scenario strumentale tra post rock e shoegaze) agli scarni due minuti di ambiente sonoro in “Harmonic Interlude”. Il finale dell’album “This Aint Happiness” è immediato come l’episodio che ha aperto l’ascolto, una delicata ballata acustica dai malinconici colori pastorali e folk.
Il 6 Novembre The Early Years saranno in Italia a Milano (La Casa 139) per promuovere il disco: una buona occasione per vedere questo ottimo disco da studio in veste live.
Autore: Stefano De Stefano