Decisivi passi in avanti per i piemontesi Mauve, dei quali avevamo già recensito l’ep d’esordio “Sweet noise on the sofa” denunciando in quell’occasione la massiccia influenza di Mogwai e Sonic Youth, ma apprezzando pure le potenzialità pop di un pezzo come “Autumn leaves”. E se effettivamente certi debiti di riconoscenza restano tuttora evidenti (i Mogwai in “Edimburgo Mega-Panda”, i Sonic Youth in “Canterbury”), si registra una maggiore personalità a livello compositivo, spesso prediligendo proprio quel taglio popadelico che già un anno fa ci sembrava l’arma in più del trio di Verbania. E la sequenza iniziale di “Kitchen love” risulta davvero convincente: la scia di chitarre e voce incalzata dalla batteria in “88”, l’andatura prima svogliata e poi sempre più decisa di “Jaguar, we have to go”, una “Santiago” leggera leggera anche là dove lancia l’ennesima impennata chitarristica, una “Electronic scales” collocata a metà strada tra glitch-pop di casa Morr Music e svenevolezze Belle and Sebastian.
Un po’ in calando la seconda parte del disco, e certo i Mauve sono ancora alla ricerca di una compiuta identità, a volte persi dietro inutili gingilli post-rock (“Butter”), a volte troppo concentrati su canzoni neo-folk tutto sommato piuttosto insipide (“Last B.”). Ma nella proposta musicale di Alberto, Elda e Carlo è comunque ben avvertibile una ricca dose di entusiasmo, il che ci sembra la miglior benzina possibile nel serbatoio creativo della band.
Autore: Guido Gambacorta