“Thought for Food”, l’esordio dei The Books dell’anno scorso, fu una vera rivelazione. Incensato dalla critica, amato dagli appassionati, era un disco traboccante di idee e intuizioni sorprendenti. “Perché non riprovarci?” sembrano aver pensato i The Books, ascoltando il nuovo LP. La sostanza della proposta non è cambiata: e se l’ “effetto sorpresa” è ormai improbabile, la qualità dell’opera resta di livello molto alto. I The Books si fanno apprezzare per la capacità di farcire d’ironia e leggerezza un linguaggio musicale che potrebbe benissimo rifugiarsi negli intricati labirinti del suo lessico complesso e di difficile decodificazione. Per fortuna, infatti, questo non avviene: il variopinto puzzle elettroacustico, le decine di campionamenti intrecciati tra loro con apparente casualità e caotica raffinatezza, rivelano splendide melodie, strumentali o anche cantate (come nella title track, deliziosamente pop, o nel blues notturno di “Don’t even sing about it”), perfettamente in equilibrio con i glitch, i campionamenti vocali spesso surreali (anche in italiano, così come nel primo disco), i suoni acustici sminuzzati e quelli elettronici dissonanti. Quando pop music e avanguardia si guardano così da vicino, non può che uscirne qualcosa di estremamente affascinante.
Autore: Daniele Lama