Inzia con ‘I Won’t Be Burned’ (batteria, piano, due chitarre, melodia rubata ai Grandaddy) e termina, trentasei minuti dopo, con ‘I Won’t Be Burned Reprise’ (batteria, piano, due chitarre, melodia rubata ai Grandaddy). Non se ne sentiva il bisogno, davvero. È il secondo album della “meravigliosa” trilogia dei Little Wings, combo washingtoniano aperto, che ruota attorno alla figura di Kyle Field, l’uomo più stonato a nord dell’equatore (Bugo escluso). Chi crede che i Belle and Sebastian siano monocordi, abbia il coraggio di procurarsi una copia di DWOW e scoprirà che si può fare un album che è uguale a se stesso dalla prima all’ultima nota, nessuna esclusa.
A tratti imbarazzante: ‘Airport in Your Heart’ finisce senza un perché (ma non ne vedo alcuno per neanche per iniziarla); ‘Listening Safely’ sembra registrato con un microfono anteguerra, e se l’effetto che voleva trasmettere è quello di lo-fi, allora…; ‘Sand Canyon’, che pure nelle note biografiche spacciavano per il pezzo forte dell’album, si regge su un’idea (?) musicale inesistente.
Ma al di là dei singoli episodi, è tutto il lavoro che non funziona, non dico sulla media, ma neanche sulla brevissima distanza. Nel vuoto pneumatico, spicca la meravigliosa (questa, si) ‘The Shredder’, così bella da meritare ben altro palcoscenico.
Autore: Andrea Romito