“Se ci penso bene, sì, abbiamo fatto dei bei dischi a suo tempo, ma è passato molto tempo da quando abbiamo fatto un grande album. Ed è questa la dolorosa verità”, confessa Skin. “Capire questo ci ha portato a realizzare quello che credo sia il nostro disco più bello”.
Parliamo di una band che non ha bisogno di presentazioni: il loro album di debutto Paranoid & Sunburnt (1995) e il suo seguito Stoosh (1996) hanno entrambi raggiunto la Top 10 della classifica degli album nel Regno Unito e, con successi come Weak e Hedonism, si sono affermati sulla scena internazionale. Nel 1999, gli Skunk Anansie chiudono il decennio in bellezza pubblicando il loro terzo album in studio, senza dubbio il loro più bello e completo, Post Orgasmic Chill e facendo da headliner al Glastonbury Festival. Poi, il buio: l’attività si interrompe sorprendentemente nel 2001, per poi riprendere (dopo tanti lavori di Skin come solista in due album, Fleshwounds e Fake Chemical State, e in altri progetti, e una sua sovra-esposizione mediatica in molti altri campi e territori, di cui il nostro paese è stato fra i palcoscenici più consumati) nel 2008 per intraprendere il secondo capitolo della propria carriera, pubblicando tre album, non dello stesso livello, inevitabilmente, dei primi tre: Wonderlustre del 2010, Black Traffic del 2012 e Anarchytecture del 2016. Nel 2019, la band ha festeggiato il suo 25° anniversario con 25LIVE@25, un album dal vivo e relativo tour che raccoglie le più belle canzoni dei suoi sei album in studio.
“Abbiamo fatto il tour delle Greatest Hits e ci siamo resi conto che le cose dovevano cambiare. Se non avessimo fatto qualcosa di fresco e innovativo, non saremmo più stati una band. Avremmo solo fatto il karaoke degli Skunk”, racconta Skin senza mezzi termini.
The Painful Truth, uscito a maggio per FLG Records, con il singolo frizzante An Artist is An Artist, seguito dall’altrettanto dinamica e fresca Cheers, emerge dopo nove anni da Anarchytecture, quindi è il risultato di un altro lungo stop, in pratica è il prodotto della terza vita degli Skunk (che però sono rimasti, curiosamente, nella formazione originale in tutte e tre le fasi artistiche, con Ace a chitarra e cori, Cass Lewis al basso e Robbie France poi sostituito nel ’95 da Mark Richardson alla batteria), ormai imparagonabili alla band metal-punk degli esordi. Di questa svolta, Skin è perfettamente consapevole: “Non mi interessa se siamo stati grandi negli anni Novanta”, afferma la cantante. “Dal punto di vista creativo è irrilevante, perché nella mia bibbia del rock il primo comandamento recita: “Se ti adagi sugli allori, appassisci e muori artisticamente, musicalmente e mentalmente. E poi finanziariamente”.
In effetti, una serie di eventi tra cui nascita di figli, malattie e la perdita del loro manager di lunga data sembravano averli avvicinati all’idea di fermarsi definitivamente, anche perché non funzionava, in epoca Covid, il tentativo provato da molte band di confezionare dischi e arrangiamenti ognuno per conto proprio magari on line. Anche loro lo hanno fatto: ma non riuscendo a scrivere via zoom, i quattro si sono ritirati dopo il Covid in una fattoria nel Devon dove, tra conversazioni sincere e cene cucinate in casa, hanno lentamente iniziato a raccogliere i loro sentimenti attraverso delle canzoni. E con la sapiente produzione di David Sitek dei TV On The Radio, The Painful Truth, loro prima uscita per FLG Records, è venuto pian piano alla luce, ed effettivamente vuole essere qualcosa di diverso dal passato.
Il primo singolo An Artist Is An Artist ne è la prova: il testo è come al solito arguto, e provocatorio e si è rivelato un successo radiofonico con playlist su BBC6Music, Kerrang Radio, Planet Rock e Absolute, oltre a ricevere il sostegno di Jo Whiley su Radio 2. Stilisticamente, è profondamente altro rispetto ai soliti Skunk, soprattutto perché compare l’elettronica e Skin più che cantare parla, su una base ritmica che ricorda il techno-rock degli anni ‘90. L’elettronica, e l’assenza di chitarre, si sente tantissimo anche in This is not Your Life, e più avanti Animal, ma gli arrangiamenti nuovi (quasi trip-hop in Animal) qui almeno nascondono una struttura melodico-ritmica che i fan sapranno riconoscere.
Shame è la prima ballad del disco, convincente ma solo perché ritroviamo la Skin romantica, introversa e melanconica che abbiamo conosciuto nelle sue ballate più famose. Ancora fin qui niente chitarre, e nemmeno nel terzo singolo, Lost and Found, canzone coraggiosissima e quasi acid-jazz, se ne sentono per tutto il pezzo, fino al minuto 3, quando comincia il lento riff conclusivo. Si assiste fin qui a un disco nel quale gli Skunk Anansie sembrano voler essere a tutti i costi qualcosa di diverso da se stessi, tenuti insieme nel loro sound esclusivamente dalla riconoscibile e “marchiabilissima” voce di Skin.
L’altro singolo Cheers, costruito su un ritmo pulsante e profondamente contagioso e su un ritornello davvero euforico, è invece (o finalmente) un pezzo pienamente Skunk. Ci sono anche qui coraggiosi arrangiamenti innovativi con elettronica, ma la chitarra è portante sin dall’inizio e soprattutto il ritmo è quello a cui gli Skunk Anansie ci hanno abituato sin dagli esordi. Siamo però lontanissimi dal post-punk e post-metal degli inizi: scordatevi le canzoni cattive come She’s My Heroine, We Love Your Apathy, Yes It’s Fucking Political, oppure On My Hotel T.V., And This Is Nothing That I Thought I Had. Cheers è alla fine un pezzo pop-rock, e Animal al massimo può avvicinarsi, per oscurità, solo lontanamente a Charlie Big Potato.
Dopo Cheers, che comunque introduce nel disco un po’ di sano ritmo veloce, arriva la prima vera sorpresa positiva del disco: Shoulda Been You inizia come reggae e poi si trasforma in rock al fulmicotone, e poi torna reggae, e qui l’influenza dei primi Police è talmente forte da sembrare scimmiottata (soprattutto nei vocalizzi di Skin) ma il risultato rimane comunque assolutamente perfetto.
Fell In Love With A Girl è un altro, ennesimo in questo disco, tentativo di rinnovarsi: quasi un pezzo anni ‘70, con chitarre molto riverberate e quasi solo ritmiche. A poche tracce dalla fine appare infine evidente lo sforzo di pescare da tradizioni diversissime dal loro underground e marchio di fabbrica, per cercare il nuovo, il frizzante, l’entusiasmante, e il rischio.
Da elogiare dunque, senz’altro, questo disco per aver cercato in maniera quasi ossessiva il rischio: il rischio di non piacere ai fan, il rischio di rinnovarsi completamente con nuovo management e nuovo produttore, il rischio di produrre suoni e riff davvero tanto lontani da quelli che conosciamo. Ma nel rinnovarsi, l’impressione è che gli Skunk Anansie non si siano trovati né ritrovati: prendono sì nuove strade musicali, ma molte di queste appaiono incerte, qualcuna timida e qualche altra decisamente non nelle loro corde, come per esempio in My Greatest Moment, dove la qualità la fa in fondo ancora soltanto la voce di Skin, quella sì immutata dagli esordi nella capacità di cantare il dolore e la sofferenza. The Painful Truth si chiude con la malinconica e più “tradizionale” Meltdown, tutta voce e piano, e vien fatto di pensare cosa poteva essere questo disco se si fosse lasciato più spazio alla “solita” ispirazione.
Il disco, comunque potente e fresco nonostante tutto, e probabilmente il migliore dopo il terzetto iniziale degli anni ’90, vuole portare gli Skunk Anansie negli stadi in grande stile di nuovo: il loro tour europeo e britannico è iniziato in Portogallo il 28 febbraio e proseguito in Spagna, Francia, Italia in inverno all’Alcatraz di Milano, poi in Svizzera, Germania, Austria, Repubblica Ceca, Polonia, Danimarca, Lussemburgo, Paesi Bassi e Belgio prima di terminare con una serie di concerti estivi di nuovo nel nostro paese (molto amato da Skin) con ben 7 date a luglio (Benevento, Senigallia, Roma Summer Fest, Bologna, Marostica, Forte dei marmi, Brescia) e poi nel Regno Unito con 2 concerti in cui sarà special guest delle date degli Smashing Pumpkins al Gunnersbury Park di Londra e al castello di Colchester, quasi un passaggio di consegne fra le band post-grunge più importanti della seconda parte degli anni ’90.
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