La domanda, forse, più stupida. Come nascono i vostri pezzi?
L’ottanta percento dei nostri brani nascono comunque da un’idea che può essere un giro di chitarra, una melodia alla voce. “Non Dimentico Più”, ad esempio, è nato con una linea di pianoforte. Poi si porta in studio l’idea e insieme arrangiamo il tutto.
Gli ascolti principali della gioventù fino a questo momento.
Abbiamo proprio una passione generale per la musica e ascoltiamo veramente di tutto. E’ normale che le influenze partano dagli anni ’80 e quindi i Cure, gli U2, i Killing Joke. Ultimamente i Muse, i Radiohead. Poi Jeff Backley, Johnny Cash, Queens of the Stone Age.
La vostra “Calling You” è forse più interessante della versione originale di Jevette Steel.
E’ un pezzo che ci piaceva. Noi, come in occasione di “Teardrop” dei Massive Attack nel precedente lavoro, ci soffermiamo su ciò che ci piace. Ad esempio, la melodia la prendiamo in prestito e a volte la cambiamo un po’, adattiamo i testi. Perché deve essere anche divertente rifare i pezzi di altri. Bisogna avere comunque rispetto per il lavoro che questi “altri” hanno fatto in precedenza perché riproporre i brani alla stessa maniera non significa proprio niente. Ritornando a “Calling You”, il discorso è che noi siamo una band, allora la rivisitazione del brano è il frutto di un lavoro collettivo che mette in gioco influenze che rispecchiano il back-ground musicale di ognuno degli elementi e nel corso degli anni attraverso i live abbiamo comunque creato un sound che ci rappresenta.
Sono andato a comprare il vostro disco e un bollino sul quello mi avvertiva che l’album conteneva “Non Dimentico Più”, il brano presentato a Sanremo nell’ultima edizione. Io cerco sempre di seguire, alla meno peggio, la categoria “Giovani” che ha sempre riservato qualche bella sorpresa. Sarò stato anch’io manchevole, conosco a memoria i vestiti di Victoria, ma il vostro nome non l’ho mai sentito per tutto l’arco della manifestazione. Com’è andata?
A Sanremo abbiamo fatto un concerto di tre minuti e mezzo. Il problema è che la categoria giovani passa a mezzanotte, mezzanotte e mezza e quindi risulta un po’ inosservata. Ma noi, molto tranquillamente, abbiamo preso quest’esperienza per quello che è: una cosa un po’ anomale. Tutti i festival che facciamo non prevedono eliminazione, proprio perché il concetto di eliminazione non si sposa con il concetto di musica.
Durante la campagna elettorale per le Politiche di Aprile i Deasonika hanno preso parte ad una manifestazione a Milano che ha visto la presenza di gran parte delle realtà della musica indipendente italiana. C’è stato anche l’intervento del leader dell’Unione, ora neo Presidente del Consiglio, Romano Prodi. Di cosa si è discusso in quell’occasione?
La cosa che ci è piaciuta di più dell’intervento di Romano Prodi, che poi rispecchia a pieno il pensiero dei Deasonika, è stato il fatto che egli si sia soffermato su un punto in particolare. Il problema della musica in questo momento non è essenzialmente il “fattore prezzi” e con esso la percentuale dell’IVA, ma è nella cultura delle teste delle persone. Finchè la musica non entra nel tessuto sociale, non cambieranno mai le cose. L’iva dal 20 al 4% potrebbe essere una vittoria per poter mettere la musica allo stesso livello dell’editoria e delle altre forme d’arte. Se scrive un libro Cucciolina ( con tutto il rispetto) l’iva è al 4%. Sul disco di Johnny Cash l’iva schizza al 20. Equiparare la musica all’editoria in termini di aggravio fiscale è idealmente un passo in avanti, ma non cambia sostanzialmente niente.
Ho sentito parlare della proposta di fondi statali per le prime opere di gruppi emergenti, un po’ come accade col Cinema.
I fondi bisogna andarseli a cercare, ma il problema sta nell’educare mio figlio, tuo figlio (quando ce li avremo) a farli crescere in un determinato modo. Le radio, ed i media in genere, hanno un potere grande e dovrebbero educare gli utenti all’ascolto e non solo intrattenerli. Stasera è stato bellissimo suonare qui. Quando andiamo all’estero, in qualsiasi locale, ci può essere chiunque, anche il pinco-pallino di turno, la gente è interessata ad andare a vedere il concerto, a vivere la musica. E’ così che si crea il passaparola. In Italia questo è ancora lo zoccolo duro, ma l’intervento di Prodi ci è piaciuto perché ha messo in risalto una lacuna culturale da colmare e non ha relegato il problema ad una mancanza di leggi adatte.
Da dove arrivate?
Siamo in parte di Como e in parte di Milano.
Forse un’area dove i problemi sono meno gravi che in altre parti d’Italia. Ma quali sono stati comunque i problemi che avete dovuto affrontare e quali invece quelli con cui ancora vi confrontate per poter far conoscere la vostra musica?
Il primo problema l’abbiamo superato attraverso l’auto-produzione. Poi abbiamo avuto la fortuna di incontrare le persone della EDEL che hanno creduto nel progetto e hanno ridistribuito “L’uomo del secolo” e poi la collaborazione è andata avanti. Siamo cresciuti insieme. Sembra una realtà grande, ma è fatta da poche persone che però ci credono. Esistono altre realtà cosi, ma bisogna avere perseveranza. In Italia è difficile, ma la perseveranza ti da continuità nel tempo. Per noi, ovviamente, la gavetta non è certo finita. Se pensi di essere arrivato, sei già morto.
Durante il live è emersa comunque la vostra vena strettamente rock, nonostante il fatto che questo tour per i club italiani vi sta facendo conoscere in una veste elettro-acustica. Chi conosce la vostra storia precedente si chiede: quando tornerete esclusivamente elettrici?
A maggio ci “alzeremo dalle sedie” e cominceranno i concerti elettrici che ci porteranno in giro per i festival fino all’estate. Ma la strada dei club non la abbandoneremo mai perché il nostro sound è sia quello di stasera che quello elettrico.Autore: Stefano Ferraro
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