Estate di ribalta per l’eclettico musicista-graphic designer-videomaker-regista norvegese, sembrerebbe. Come se non bastasse già questa multi-disciplinarietà a piazzarlo nel bel mezzo di una procedura di “cool-izzazione”, ci sono un altro paio di releases (per non parlare di quelle marchiate Smalltown Supersound – di tutte ci occuperemo a breve… si spera), oltre a quella in questione, come antipasto del secondo album, sorta di “minimo sindacale” dovuto al pubblico dopo gli ormai 4 anni di attesa dal debut album “Hei”.
L’ideale “libretto di lavoro” appena sintetizzato lascia già intravedere nell’elettronica il terreno d’azione di Kim, così come tanto la provenienza quanto l’etichetta di uscita fanno il resto ai fini del nostro personalissimo “toto-stile”. Che va a segno sull’esito “minimal-folk-pop-electro”. Ma è meglio spiegarsi…meglio, no?
La dimensione dance, almeno in senso stretto, è distante dalle intenzioni di Kim Hiorthoy. Potremmo parlare di “intelligent digital music”, così come andare a recuperare (che non lo sentiamo da un bel po’) il buon vecchio Howie B negli episodi introspettivi ma non troppo di “Music for Babies” o di “Snatch”, o rifarsi all’attualità di altri “brillantoni” avanguardisti come Four Tet, Matmos, Matthew Herbert, con l’accortenza però di non iscrivere Kim alla “electro-terapia infantile” dei Mùm o agli ormai tipicamente nordici dreamy soundscapes di altri (sia norvegesi che islandesi) colleghi.
A qualunque elemento esterno o terminologico ci si riferisca, Kim dimostra non amare ciò che possa fare a pugni con la quiete ispirata dalla sua terra d’origine. “Hopeness” è un campionario di suoni timidi, aurali, scarni, e, in una visione d’insieme, poco stratificati. Su questo pacato carillon si innesta, come si conviene, l’elemento ritmico. Il beat è però di quelli rispettosi del tenore emotivo di quanto appena descritto, sorta di stantuffo che serve a far sì che l’ingranaggio elettronico, da un momento all’altro, non si spenga per aver osato troppo sotto il minimo, oltre che ad accogliere, in questo sintetico affresco pastorale, interferenze breakbeat che rendano Kim un minimo “vendibile” alle chilly-zone dei club. Sì, per il patentino di “cool” dovrebbe andar bene…
Autore: Bob Villani