Prendi un posto incantevole, come la “Selva del duca”, arroccata sulla catena montuosa del Partenio, sopra la cittadina di S. Martino Valle Caudina, in provincia di Avellino. Riempila di svariate forme (im)possibili di musica elettronica e video-installazioni avanguardistiche, falla pacificamente invadere da centinaia di appassionati di nuovi suoni e video-arte: l’effetto straniante è assicurato. Ed è su questo effetto che gioca quest’anno il festival Interferenze (dal suggestivo sotto-titolo “Naturalis Electronica”), giunto alla quarta edizione e già ormai punto di riferimento per tutti gli appassionati di musica “nuova” in Campania e non solo.
Per tre giorni (dal 3 al 5 agosto) abbiamo avuto modo di farci ipnotizzare dalle videoinstallazioni “viventi” di Casey Reas, abbiamo “giocato” con i video interattivi di “LeCielEstBleu” (opera di Frédéric Durieu e Kristine Malden), ci siamo immersi nei fantasiosi mondi visivi dei Semiconductor (cui era dedicata un’interessante retrospettiva) e negli splendidi sapori dei prodotti tipici di queste parti (parte integrante del progetto-Interferenze di quest’anno!); ci siamo fatti spiegare il segreto dei piccoli “insetti elettronici” costruiti da Ralf Schreiber (piccolissimi robot ad energia solare capaci di riprodurre suoni) e siamo stati ore accanto al fuoco ad osservare la lenta “condensazione” del brodo di pollo (!), tra i protagonisti della performance “gastro-acustica” di Philipp Furtenbach (cuoco viennese) e di Kassian e Ulrich Troyer (Vienna), curioso esperimento sonoro basato sul campionamento e la manipolazione dei suoni prodotti durante la preparazione di cibi cucinati per ore a fuoco lento.
Tre giorni in cui – ovviamente – abbiamo avuto modo di assistere a numerose live-performance di alcuni tra i più interessanti musicisti elettronici contemporanei.
Tra i più apprezzati sul palco “secondario” (il “Cage Stage”), gli svedesi Tape, artefici di un’elettronica dolce e fortemente orientata verso la ricerca di melodie pop, abili nell’intrecciare strumenti acustici e immancabili powerbook. Discutibile invece la “performance” dei giapponesi Sine Wave Orchestra, che distribuiscono al pubblico (previa consegna di un documento di riconoscimento, of course!) dei simpatici micro-strumenti auto costruiti, dalla curiosa forma ovale, capaci di emettere onde sinusoidali manipolabili dall’utente. Il risultato: 45 minuti in cui i compiaciuti “partecipanti” hanno gironzolato per l’area del festival smanettando sugli elementari controlli delle uova-sonore. Divertente i primi 10 minuti, irritante poco dopo.
Affascinante, invece, l’esperimento audio-video della giapponese O.blaat, basato sugli effetti delle onde sonore propagate da un woofer sull’acqua.
Restando nell’ambito dell’”elettronica al femminile”, non possiamo non ricordare i cut ‘n’ paste sonori di AGF e la raffinatezza della sua elettronica “dal volto umano”. Ma forse la vera rivelazione è stato il live-set di Kateryna Zavoloka, giovane musicista ucraina (già collaboratrice della stessa AGF). Suoni liquidi disturbati da rumorismi radicali, beat de-strutturati e subdole melodie che fanno capolino tra glitch capricciosi. Da applausi.
Non ha deluso le aspettative Biosphere (il cui live, previsto per il primo giorno di festival, è stato spostato al secondo a causa del temporale che aveva interrotto i live il giorno precedente), capace di trasportarci con estrema lentezza da rarefatti paesaggi sonori (impossibile non associare molti dei suoi suoni alle immagini glaciali che supponiamo caratterizzino la sua cittadina di provenienza, Tromsø, in Norvegia, a 500 miglia dal circolo polare artico) ad irresistibili micro-pulsazioni ritmiche.
Tra i live più “movimentati”, come prevedibile, quello di Deadbeat, che dal suo laptop sforna beat minimal-techno immersi in densissimi strati di dub, che fanno smuovere (finalmente!) anche i più restii al ballo.
Deludente, invece, il set di Andy Vaz, imbastito di clichè techno/house noiosi e un tantino stantii.
Indimenticabile il live dei Retina.it assieme alla danzatrice Gabriella Cerritelli, la quale fa vibrare sul suo corpo le profonde pulsazioni e i bassi corposi del duo pompeiano, oltre a trasformare in gesti, sguardi e posizioni plastiche le articolate costruzioni soniche prodotte alle sue spalle (“Behind the eyes”, guarda un po’, è il titolo di questa performance che lascia molto spazio all’improvvisazione). Uno degli spettacoli più convincenti dell’intero festival, come confermano gli applausi e la partecipazione del pubblico. Molto ritmo, molto calore, molta energia.
Anche la performance messa in atto da Elio Martusciello e Salvatore Borrelli aka (etre) (entrambi fondatori del collettivo di arti elettroniche IXEM) si rivela di assoluto interesse sin dalle prime battute. Trattasi sorta di meta-improvvisazione incrociata nella quale i due musicisti-sonorizzatori smuovono le viscere della banda sonora senza che nessuno dei due non avesse che una sola sensazione strutturale di quanti e quali fremiti sonori stesse per generare l’altro, potendo in questo modo affondare con inconsueta concretezza il rapporto tra variabile umana ed intelligenza artificiale. Allo stesso tempo questo incrocio di battiti e tremori rappresenta anche una riflessione sul rapporto tra immagini e suono, e sull’intenzionalità comunicativa di entrambi questi universi come sistemi codificati di segni, in modo da creare un contrasto percettivo tra la familiarità delle immagini dotate di un domestico alone vintage, ed il torrenziale profluvio glitch del suono. Un suono per nulla arruffato o modaiolo (due aggettivi che nella musica elettronica ben si accordano) come la dicitura lascia spesso presagire, al contrario un suono perfettamente a fuoco e dalla crudezza disarmante, all’interno del quale errori di canale, saturazioni, picnolessie, possano risultare non elementi di contorno ad architetture più convenzionali, quanto la rappresentazione di quanto c’è dietro al suono come sistema, una rappresentazione del codice attraverso il codice.
Per Martusciello e Borrelli infatti, il glitch è la modalità attraverso la quale squarciare il velo di maya di una musica elettronica formalista e stereotipata, figlia dell’applicazione standardizzata di stampo ingegneristico di filtri plug-in a prodotti non concepiti con una effettiva estetica (ed, a maggior ragione, etica) della macchina.
Ci lasciamo alle spalle la Selva del Duca dopo tre giorni intensi. Tre giorni in cui abbiamo fatto il pieno di splendide, indimenticabili interferenze tra suoni distorti, scricchiolanti, disturbanti ed un impareggiabile scenario naturale, inconsapevolmente co-protagonista.
Autore: Daniele Lama | PasQuale Napolitano _ foto di: Federica Di Lorenzo
www.interferenze.org/2006/