Gilles Peterson potrebbe rappresentare bene il modo in cui viene intesa la musica all’estero. La BBC inglese, l’equivalente della radio RAI italiana, ha ancora il buon gusto di proporre programmi che non siano la solita solfa. Uno di questi è “The World Wide Show”, condotto dal talentuoso e”multiforme” Peterson. All’interno di tale contenitore, avvengono le”mitiche” sessions (da John Peel in poi, una vera manna per gli appassionati di musica), sorta di registrazione in studio di svariati artisti (NERD, Beck, Bjork, The Roots, solo per citarne qualcuno), lasciati liberi di offrire gustose chicche. Questa, però, è solo una minima parte dell’universo Peterson. Sintetizzare la sua carriera è opera ardua e lunga, sebbene intrigante. Perciò, meglio lasciare la parola allo stesso Gilles e sentire dalla sua “viva voce”, le varie tappe che hanno caratterizzato il percorso artistico di mr Peterson:
Dj, radio speaker, musicista, proprietario di una etichetta discografica, talent–scout, (mi sono scordato qualcosa?) …chi è, esattamente, Gilles Peterson?
Tutte queste cose! Sebbene, devo ammettere, di non essere un musicista
Quand’eri ragazzo, ti costruisti un piccolo studio nel giardino dei tuoi genitori. Fu lì che tutto cominciò…
Quali erano i sogni in campo musicale che coltivavi all’epoca? Credi di averli realizzati oggigiorno?
Allora non avevo alcuna aspettativa riguardo la mia carriera. Avevo solo una passione smisurata per la musica e la radio. Era così un ossessione che non avevo tempo per pensare ad altro, figurarsi un eventuale lavoro.
Quanto ha inciso l’aspetto multiculturale di una città come Londra nei tuoi gusti musicali?
E’stato fondamentale. A mio modo di vedere, Londra è davvero un posto multietinico. Qui puoi trovare ovunque diverse influenze musicali. Il jazz, i soulboys, l’attitudine punk, i sound systems, la qualità delle funk bands – tutte queste correnti sono state importantissime nel dar vita al mio background musicale e, sopratutto, mi hanno portato ad avere una “mente aperta” a svariate esperienze.
Sei sempre stato interessato a vari generi musicali: uno di essi è il jazz. A questo proposito, credo che ti abbia fatto particolarmente piacere curare alcune compilation, incentrate sul catalogo di etichette quali Blue Note e Prestige…
Certamente il jazz ricopre un ruolo centrale nella mia musica. Ok, magari alcune volte passo della techno o dell’ hiphop, ma ciò che unisce tutti questi stili differenti è il jazz. E’ più che altro il suo tipo di approccio, basato sulla “libertà di espressione”, il fattore che me lo rende particolarmente affine. Continuare a lavorare con artisti jazz o realizzare delle compilation in cui figurano pezzi storici di questo genere musicale è un dono di cui vado molto orgoglioso.
La tua “apertura mentale” è un tratto evidente anche nel tuo nuovo album, basato sulle “The BBC Sessions”. Prima di tutto, però, mi piacerebbe sapere qualcosa in più sul tuo programma radiofonico: “The World Wide Show”. Dopo cinque anni, ritieni che la sua formula sia ancora perfettibile? Ti senti un moderno John Peel?
Non mi sento il John Peel della situazione. Posso intravedere delle similitudini tra noi ma penso che siamo persone differenti con gusti e personalità abbastanza diverse. Lo dico in senso buono, ovviamente, perché sono stato un suo fan. Riguardo “Worldwide”, ci sono parecchie cose che possono essere migliorate. Ogni volta mi sforzo di rendere il suo format eccitante e fresco.
Entrando nello specifico: è stato assai complicato lavorare con così tanti musicisti? Segui un particolare metodo (se c’è ne uno) quando realizzi le studio sessions? Esse sono più una sorta di libera jam tra musicisti o cosa?
Tutte le sessions sono state un vero piacere. Il criterio che seguiamo dipende dallo studio di registrazione che usiamo, Il Maida Vale della BBC. Dai Rolling Stones a Bing Crosby, da Stevie Wonder a Bjork, praticamente, tutti sono passati di lì. L’aspetto principale degli Studios della BBC è che tutti vengono trattati alla stessa maniera, ossia in modo eccellente e nessuno può fare la superstar del cacchio. Tutte le sessions sono registrate in sei ore, una tempistica abbastanza ristretta, considerato che in questo lasso di tempo, vengono sistemati gli strumenti, si fa il soundcheck, si registrano i brani e il tutto viene mixato quasi al volo. Procediamo spediti ma la qualità non manca.
E’ vero che già è in cantiere un disco con altre sessions?
Sì, ci sono parecchie sessions ancora da pubblicare e sono così interessanti! Credo che ci aspetti molto lavoro….
Trovi tuttora il tempo per seguire le attività della tua label, la Talking Loud?
La Talkin’ Loud ha cessato d’esistere. Mi è dispiaciuto ma le cose cambiano…Adesso sono felice di partecipare alla realizzazione di compilations e progetti speciali con la Ether Records. Sto’ anche mettendo su una mia etichetta di jazz sperimentale che si chiamerà Brownswood.
Qual’è la tua “top five albums” del momento?
Sono troppi i dischi che mi piacciono per poterli citare tutti…
Dopo l’Africa e Brasile, ti dedicherai alla musica di qualche altro paese? Forse l’Italia…
Non abbiamo deciso ancora ma credo che sarà un posto ”caldo”, come l’Italia durante l’estate…Autore: Luca M. Assante
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