Hanno trovato la loro dimensione i Franklin Delano? Forse sì, forse no. In un certo senso speriamo di no e che continuino ad essere flessibili. Con questo terzo lavoro l’ex trio bolognese, diventato un combo allargato ad un totale di sei elementi, continua a stupire per la sua mutevolezza. Cambiata anche etichetta discografica, ed approdati alla Ghost, per “Come home” Paolo Iocca e soci hanno mantenuto lo stesso produttore, Brian Deck, mentre la registrazione è avvenuta a Chicago. A questo punto cosa aspettarsi dai FD? Delle sperimentazioni che hanno caratterizzato l’intrigante precedente “Like a smoking in front of me” rimangono soltanto alcuni echi, dato che i nostri hanno preferito adagiarsi su un rock di matrice profondamente Usa. Nelle undici tracce di “Come home” a prevalere è la ballata, seppur con diverse variabili, a partire dal quel soul, arricchito dai fiati rhythm’n’blues di “Scalise” e “I know my way”. L’intensità raggiunge i massimi livelli con la ballata che ha un sapore misto tra Byrds e Neil Young di “I am a cow”. Diversi sono gli ospiti presenti che contribuiscono in maniera estremamente positiva alla rendita del suono, tra questi spicca il banjo di Jim Becker dei Califone sulla title-track, soffice e piacevolissima ballata. Qua e là si percepiscono lontani richiami ai Beatles dell’ultimo periodo e più malinconici (“Your demons”, “Dead racoon”). Se la registrazione è avvenuta a Chicago diventa giustamente obbligatorio un omaggio al blues, ovviamente riletto a modo loro, ecco quindi una “Night train” che ha un piglio rock-blues, ma le chitarre non sono pulitissime. “No man’s land”, posta non a caso in conclusione, con le sue sperimentazioni e i suoi loops, sui quali si intersecano chitarre flebili, è il trait d’union tra i FD dell’anno scorso e (forse) la prossima avventura dei bolognesi. Staremo a vedere, in ogni caso per il momento metabolizziamo e godiamoci “Come home”, per il sottoscritto, tra i primi cinque Cd italiani migliori usciti finora.
Autore: Vittorio Lannutti