Vecchio motto borbonico, ancora valido, “Festa farina e forca” è il grido di Enzo Avitabile e i bottari di Portico. Molla che spinge al fronte la propria macchina da guerra musicale. Siamo due passi a destra dell’ecumenico “Salvamm’ ‘o munno”, il precedente disco d’esordio: laggiù, a pescare a piene mani nelle radici del Sud, magiche e contadine, gonfie di preghiere fatte pastellessa, canto-lamento, zeza, dialetto-lingua anagogica, unite ad amicizie funky. E poi, a sorpresa, arriva anche il salto tecnologico, con un secondo cd, in cui i maestri mondiali dell’elettronica remixano i brani di Avitabile più addomesticabili ai beat. Nomi notissimi: Matthew Herbert, Bill Laswell, Banco De Gaia, LLorca, Temple of sound. Difficile immaginare un disco più glocal. Il suono rude dei bottari si addomestica, accarezza i woofer, anche se l’ex bluesman napoletano è convinto che poche radio inseriranno qualche brano in playlist. Stavolta invece – senti “Rape ca te utele”, “Anola Trànola”, o “Soul makossa”, il pezzo migliore – potrebbe essere quella buona (buona per cosa, poi? visto che senza spinte dal circuito mainstream l’allegra banda dei bottari s’è già esibita, acclamatissima, nei festival di mezzo mondo). Il disco tiene, pieno di colori, nonostante diversi momenti di ripetitività e coretti ridondanti (“Requiem pe nisciuno”). Tini, botti e falci per la festa. Ma si tambureggia di meno rispetto al disco del 2004. Uno si attende il tuono delle percussioni. Invece vince la melodia, che affina e porta, come si dice, a maturità il gruppo. Ma il pubblico dal vivo spingerà quelle braccia a picchiare sulle botti, ancora e ancora, per il rave di Faccia gialla.
Autore: Alessandro Chetta