I Black Star Riders sono un gruppo rock nato nel dicembre 2012, quando i membri dell’ultima formazione dei Thin Lizzy hanno deciso di registrare del nuovo materiale sotto un altro moniker, abbandonando lo storico nome, legato indissolubilmente al cantante, compositore e bassista irlandese Phil Lynott, morto a 36 anni nel 1986 in seguito ad un’overdose di eroina. Scelta coraggiosissima e, soprattutto, saggia: coraggiosa perchè il nome Thin Lizzy fa parte della storia del rock, e avrebbe senz’altro consentito al chitarrista Scott Gorham e soci di usufruire di una maggiore esposizione mediatica al momento della presentazione dell’album; saggia perché utilizzare lo storico nome avrebbe esposto i nostri a numerose critiche da parte dei fan più accaniti del combo irlandese e ad inevitabili paragoni del nuovo materiale con il vecchio, battaglia che sarebbe stata persa in partenza in ogni caso.
Il piacere più grande, ascoltando All Hell breaks Loose, è proprio quello di trovarsi dinanzi ad un album di altissima fattura, di puro hard rock anni ’70 filtrato nel migliore dei modi da chitarre vigorose dal suono attuale, corposo e potente. La sorpresa più grande, invece, è quella di constatare che All Hell breaks Loose non è un album ”di mestiere” composto da discreti riff e ritornelli orecchiabili messi insieme in modo tale da spianare la strada ad un dignitoso ritorno di vecchi musicisti che hanno fatto il loro tempo, tutt’altro: i due singoli estratti dall’album Bound for Glory e The Kingdom of The Lost sono due vere perle e svolgono appieno il loro compito di presentare un album variegato, originale, ispirato e suonato magnificamente.
Il marchio di fabbrica è, nemmeno a dirlo, quello dei già citati Thin Lizzy. Non mancano le classiche melodie delle chitarre ben armonizzate e incastonate tra loro, arrangiamenti sopraffini e melode ricercate, così come i testi, mai banali, nonostante il titolo dell’album può risultare un clichè (All Hell breaks Loose vuole dire Scateniamo l’inferno).
Le tracce sono undici inni di rock duro e puro, i ritornelli rimangono stampati in testa dopo il primo ascolto e tra le note, che riportano inevitabilmente i nostri sensi ai fasti della musica dei Thin Lizzy, è impossibile non avvertire l’aura di Phil Lynott che rivive in quello che è molto di più di un album tributo al suo vecchio gruppo, ma un vero e proprio tributo al rock di classe di una volta, il classic rock, se vogliamo, che ha attraversato quattro decadi senza avvertire alcuna stanchezza, cosa che, ascoltando i Black Star Riders, possiamo affermare senza pensarci due volte.
blackstarriders.com
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autore: Nicola Vitale