Cosa c’è di diverso nei Pan American rispetto ai tantissimi gruppi o artisti con un orecchio teso al post-rock più ambientale e l’altro ai mezzi elettronici di produzione del suono?
A volte sembra che Mark Nelson indulga in maniera quasi autocompiaciuta verso il cinematografico, o comunque verso una limatura e un rallentamento dei suoni quasi esasperati, e interpretabili come fobia ossessiva di quell'”errore” che spesso – specie in ambito elettronico – non guasta la qualità di una creazione, e che invece Nelson sembra voler stanare ed eliminare a tutti i costi. Certo, alludere alla perfezione è già valida traccia di buona ispirazione, ma non è esattamente il punto a cui intendevo arrivare.
Un indizio sull’obiettivo però è stato lanciato, ed è appunto questa inclinazione da soundtrack che i dischi Pan American hanno, trovino essi il loro perno nel computer (come nel precedente “The River Made No Sound” o nel debut album omonimo) o – ed è il caso di “Quiet City”, in cui Nelson si avvale, per mano altrui, di contrabbasso, batteria, tromba e flugelhorn – in musica propriamente suonata. L’elemento decisivo per concretizzare questa “filmofilìa” è infatti quel canale, tra i tanti riempiti di suoni, che sta piantato, dall’inizio alla fine, sulla stessa, unica nota, una sorta di vettore che stilizza la traiettoria di un brano e la allinea a un determinato mood (che, il più delle volte, ha fattezze malinconico-introspettive). Questo quarto album a firma Pan American non si sottrae a tale schema, affermando il proprio valore aggiunto nell’accennato utilizzo – e relativa orchestrazione – di strumenti propriamente detti.
Il che va a modificare un altro schema, che caratterizzava i lavori “sintetici” di Nelson, quello del groove – minimale – che, reiterato, andava costituire l’asse portante dei brani. In “Quiet City” il sound si libera dalle maglie del pattern per fluire in evoluzioni aeree – sempre attorno al citato “vettore”, beninteso – secondo l’estro cangiante dei fiati coinvolti, sì da disegnare, attorno a un mood quasi bucolico, strutture sonore più complesse ed elaborate che in precedenza. Più che un passo avanti, forse due. E non era mica detto…
Autore: Bob Villani