E’ uscito in contemporanea con le prime giornate di caldo di quest’estate rovente, il nuovo disco dei Morose, “People have ceased to ask me about you” (su etichetta Suiteside). Mentre il mondo intero cominciava a rincoglionirsi con le hit della stagione ed i tormentoni da spot di cellulari e simili, pochi (purtroppo) fortunati dall’orecchio fine avranno avuto il piacere di sprofondare tra le tristi…pàrdon…malinconiche ballad folk rock in bassa fedeltà di questo splendido disco. Agli altri è consigliato di farlo quanto prima.
Abbiamo fatto qualche domanda a Davide Speranza, cantante e chitarrista della band…
Ascoltando “People have ceased…” stentavo a credere che fosse un disco della stessa band di “La mia ragazza mi ha lasciato”. Ho poi notato che sul vostro sito segnalate “La mia ragazza…” come l’ultimo momento del vostro “OuZel Period”. Insomma mi sembra ci teniate a sottolineare come questo nuovo disco segni l’inizio di un nuovo capitolo della vostra storia. Cambi di formazione, di etichetta etc…: cos’è successo nei Morose in questi anni?
In realtà non vedo una netta discontinuità tra ora e allora. La formazione attuale del gruppo è per ¾ diversa da quella che registrò “La mia ragazza…” e certamente il contributo nel nuovo disco di Valerio, Federico e Pier è consistente, ma i cambiamenti sono avvenuti in maniera graduale nel corso di questi anni e credo che accada un po’ come quando non vedi una persona per molto tempo: le differenze nel suo aspetto ti balzano subito agli occhi, mentre vedendola tutti i giorni non riesci a coglierne i mutamenti quotidiani. Ma la persona è quella lì, sempre la stessa e ogni volta diversa.
La storia che raccontate sul ritrovamento del testo di “Ich Bin Der Große Derdiedas” è molto interessante, seppur forse un po’ troppo “romantica” per essere credibile (mi piacerebbe la raccontaste ai nostri lettori…). Di cosa parla il testo?
Per fortuna le cose non hanno bisogno di essere verosimili per essere vere; la vita non si preoccupa di essere verosimile.
Sottopongo ai lettori tre versioni sulla genesi di “Derdiedas” in modo che ognuno scelga per vera quella che preferisce:
.versione n.1: RITROVAMENTO MANOSCRITTO
Costretti a trovarsi un nuovo posto dove suonare i Morose si sono trasferiti sui monti di Aulla nell’estate 2004. Proprio nel cercare di rendere un poco più umane le condizioni della cantina che li avrebbe ospitati venne ritrovato, nascosto in una nicchia, un manoscritto in lingua teutonica. Fu la Mariuccia, nonna di Valerio, a dare una possibile spiegazione al misterioso ritrovamento: nel ’45, durante la ritirata delle truppe tedesche, un reparto di venti uomini che aveva il compito di far saltare i ponti di Aulla si era asserragliato all’interno dell’edificio, e dopo vari scontri a fuoco era stato costretto alla resa da 7 partigiani della Brigata Vanni. Sarebbe stato quindi uno di quei soldati tedeschi a nascondere quei due foglietti di carta ingiallita, prima di andare incontro alla propria fine.
.versione n. 2: CONVERSAZIONE NOTTURNA CON KAFKA (testimonianza raccolta il 2/6/2005)
“La verità è che il testo deriva da un insieme di parole e frasi sconnesse che Valerio ha pronunciato nel sonno e che ho avuto la premura di raccogliere durante i tour dello scorso anno. Forse era l’assidua lettura di Kafka a spingerlo ad usare il tedesco, e probabilmnte proprio a Kafka si rivolgeva inquesti dialoghi notturni.
Poi ho inventato la storia del ritrovamento del manoscritto del soldato tedesco: in realtà Valerio non sa ancora di essere l’autore del testo.”
.versione n. 3: IL FURTO DELLA POESIA DADAISTA
Una mattina del 1998 uno studente di liceo, che allo scopo della nostra breve narrazione chiameremo “l’uomo-sgabuzzino” per preservarne l’anonimato, penetrato furtivamente nella biblioteca della scuola, dopo essersi accertato della presenza di un’altra copia del volume sugli scaffali polverosi, trafugò con destrezza una antologia di poesie dadaiste. Una in particolare colpì l’animo sensibile del giovane, che in quel periodo della sua esistenza si stava avvicinando al nobile mondo dell’arte e delle letture edificanti: si trattava di una poesia che iniziava così: “IO SONO IL GRANDE LUILEICOSO”, dichiarazione nella quale l’uomo-sgabuzzino si riconobbe immediatamente.
In tutti in casi, ci è impossibile riassumere qui l’argomento del testo, dato il suo carattere evocativo piuttosto che narrativo.
Un’opera (un disco, un film, un quadro…o tutti e tre…), un luogo e uno o più eventi che pensate possano avervi influenzato per questo disco…
Quella delle influenze è una matassa piuttosto intricata, e cercarne il bandolo porta indietro nel tempo sino a perdersi nel labirinto incoerente degli avvenimenti biografici. Forse, più che in passato, emerge l’amore che nutro per dichi come “Mi media naranja” dei Labradford o “Soft black stars” dei Current 93, ed anche i riferimenti letterari sono un poco più presenti, ma mi è impossibile indicare un libro o un autore in particolare. Indicarti un luogo è invece molto più facile, dato che non ne ho frequentati molti all’infuori di camera mia.
Come nasce la collaborazione con i YeePee? Ammetto la mia ignoranza: non avevo mai sentito parlare di questo gruppo francese prima di ascoltare il vostro nuovo disco. Mi sembrano molto in sintonia con il vostro modo di intendere la musica, o mi sbaglio? Quale loro disco ci consigliereste? Il rapporto con loro avrà un seguito?
La tua ignoranza era anche la nostra prima che Emmanuel mandasse il cd alla Ouzel. Invitarli a registrare è stata una cosa naturale, dato che avevamo un pezzo in francese: anch’io credo che abbiamo in comune un certo approccio alla musica, e credo che continueremo a lavorare insieme in futuro.
Il loro ultimo ep si intitola “Ballons+Wishes=EtoilesFilantes” ed è possibile ascoltare qualche pezzo nel loro sito: http://yeepee.free.fr/
Spesso i musicisti si rifiutano di ammettere che un loro disco sia triste. Ad essere sincero non trovo un aggettivo più indicato per definire l’umore di questo vostro nuovo lavoro. Voi che ne dite?
Anche lasciando il margine più ampio possibile alla soggettività dell’ascoltatore, mi pare difficile che il disco possa suonare ”allegro”, né vedo in ciò motivo di rammarico: non credo di possedere dischi “allegri”. Ad ogni modo, in virtù del mio spirito di contraddizione, se devo dire la mia, preferisco l’aggettivo “malinconico” a “triste”.
Anche questo lavoro è stato registrato con un otto tracce. Perché è così importante la dimensione “domestica” per la musica dei Morose? Registrare in casa ci è sempre parso il modo più naturale, oltre ad essere l’unico possibile. E’ grazie al fatto che Mauro possedesse un 4 piste che il progetto ha preso avvio, e da allora non abbiamo mai preso in considerazione l’ipotesi di andare in studio. In realtà non si tratta esclusivamente di una scelta di carattere ideologico, quanto di una meschina necessità materiale: la povertà è la nostra musa.Autore: Daniele Lama
www.moroseismoroseismorose.com