Piuttosto eterogenee tra loro, le canzoni degli Arancioni Meccanici prendono le mosse dalla spinta critica verso le mode e gli stili di vita, talvolta con una vena caustica talvolta invece ironica, e suonano rock italiano rivoltandolo come un calzino, e tirando fuori una manciata di canzoni che spaziano dal ruvido impatto r’n’r di Zen Circus e Tre Allegri Ragazzi Morti (‘La Minaccia Rossa’ dal tono declamatorio e dal testo visionario), alla wave stile Diaframma dei primi anni 90 (la bellissima ‘Mala Tempora’, o ‘Tumblin’Heart’), con diversi episodi solari e umoristici piazzati però maldestramente, a spezzare il ritmo (‘Ti Porto Fuori a Cena’, troppo macchiettistica, tra Le Loup Garou e Bugo), o iniettàti di sarcasmo un po’ scontato (‘Automation for the People’), o musicalmente irrisolti (‘Reggae’).
Forti anche le influenze britanniche, in questa band per ora sospesa, o indecisa tra solarità e sguardo dark, tra rock e melodia, tra serietà e divertimento; in costruzioni musicali in cui il basso elettrico prende le redini, si notano infatti interessanti attitudini wave primi anni 80 di U2 (‘Love’, col contributo del pianoforte), e Depeche Mode (‘Tomorrow’, cupa e tesa).
Andando ancor più a fondo, dobbiamo dire che i brani che maggiormente ci hanno colpito sono ‘Caravan of Love’, per chi scrive autentico nuovo inno minore dell’indie rock italiano, il cui testo – che è in italiano, come quasi tutti i brani – narra di una persona insofferente al grigiore della vita domestica e metropolitana, e alle serate davanti alla tv, che sogna di partire alla ventura come un fricchettone, in un corteo di chitarre fuzz/twang, e poi la conclusiva ‘Uomini/Macchine’, durata 13’20” incubo futurista tipo Minority Report e Terminator, che cerca uno spiraglio di salvezza in una realtà capovolta in cui le persone contano meno delle loro creazioni.
Autore: Fausto Turi