Erano ormai trascorsi già due anni e mezzo dalla pubblicazione di “Lucky Cat”, brillante esordio del duo inglese ospite per l’etichetta che più di ogni altra ha saputo presentare e promuovere nel panorama musicale del nuovo millennio, quella combinazione di stile, preparazione tecnica, improvvisazione e suggestione narrativa che hanno caratterizzato il fenomeno del supposto glitch-pop. Gli anni non sembrano essere passati così velocemente per Antony Ryan e Robin Saville, che trovando alloggio in una casa nel sud dell’Inghilterra, hanno lentamente e quotidianamente assemblato i suoni e i paesaggi compositivi , estraendo e performando su apparecchiature vecchie e nuove le moderne architetture sonore di quest’album.
È davvero imbarazzante dover osservare a volte che, senza nulla togliere alla genialità ed alla preparazione necessaria per proporre un prodotto di questo genere, costato sicuramente tanto in termini di impegno lavorativo ed economico, le proposta così a lungo preparata manchi poi di quella freschezza e di tutto l’entusiasmo necessario per cogliere i sensi e le risposte emotive giuste per questo tipo di musica. Si continua con l’ascoltare maccanicamente tutta una serie di brani, per carità, descrittivi ed equilibrati, dal sicuro appeal melodico, carichi di suggestioni , dalla giusta proposizione speculativa, ispirati dalle migliori correnti compositive della ultima generazione di musicisti di quel paese ( Eno, Orbital, David Toop, Authechre ) ma fino ad asservirne le particolarità tanto da non riuscire ad intenderE la proposizione. Eppure non mancherebbero occasioni per allungare la prospettiva fino a ricercare nuovi territori poco battuti; quando le percussioni e i loops si trincerano in sequenze minimali ed ossessive per “ The Race To Be First Home”, oppure si fanno piccole piccole ad incorniciare minuziosamente la tessitura sonora di “Sat 73” fatta di scricchiolii, schiocchi e una delicata partitura di piano ispirata dal commento musicale per qualche film muto del secolo scorso o arredano l’ambiente come per la title track “Meet Next Life” matida di amorevoli effusioni sintetiche elaborate da un laptop ammansito. Insomma in casa Morr non si scherza quando ci si presenta con una nuova uscita, e allora perché accontentarsi per così poco?
Autore: g.ancora