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Intervista: Jennifer Gentle

di Redazione
16 Dicembre 2013
in Interviste
Tempo di lettura: 5 minuti
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I Jennifer Gentle ci raccontano la nuova avventura che li vede pubblicare un secondo album per l’americana Sub Pop.
Il nuovo disco s’intitola “The midnight room” , il primo fu “Valende”, e con Marco ripercorriamo alcuni momenti che hanno portato alla realizzazione di questo lavoro intriso di sonorità ricercate.
A sentire Marco Fasolo – il chitarrista – gli ascolti della band vanno dai Nino Rota ai Beatles come se rappresentassero la loro voglia di conoscere senza limitazioni di stile.

Come una band, nel ricco scenario della musica indie, riesce ad affermarsi così bene soprattutto all’Estero?
Credo che l’ingrediente principale sia l’avere un proprio personale immaginario, plasmato da un suono che negli anni è diventato sempre più identificabile. Poi penso che non avere nulla di prettamente “indie” sia un aiuto non indifferente se consideriamo che ormai con questo termine si intende più un sound e un songwriting specifico piuttosto che un’attitudine indipendente dalle logiche di mercato. E comunque ben vengano le logiche di mercato se i dischi possono vendere di più e i gruppi camparci. Certo, non a scapito della libertà creativa, altro ingrediente fondamentale per uscire dalla melma. Poi la perseveranza conta moltissimo. E’ un pò come crescere bene un figlio… non appena distogli lo sguardo, rischi che faccia un malanno o resti tritato da un trattore che casualmente passa davanti casa. L’avere coscienza del proprio io, del proprio passato, del proprio percorso, e preoccuparsi che esso ti assomigli fino all’ultimo passo, è importantissimo. L’Italia sta perdendo la sua identità, la sua italianità. Ha paura del confronto con l’estero, sente il bisogno di appoggio da parte di chi fruisce dei suoi manufatti, soffre in qualche modo di un complesso di inferiorità. Ha perso in buona sostanza, la componente ludico-onirico-creativa dei grandi maestri italiani di un tempo. E poi la musica in Italia muove meno interesse (quindi meno soldi) che altrove. Qui ci sono altre priorità. Ecco perché abbiamo riscosso più interesse all’estero.
Voltando lo sguardo al passato come è cambiato rispetto alle origini?
Credo che sia semplicemente aumentata la consapevolezza e la capacità di ottenere i risultati desiderati. Tutto per me è diventato ancor di più una ragion d’essere. I Jennifer Gentle sono un progetto che mi porta a pretendere sempre di più da me stesso e a investire sempre di più nella causa.
Questa forse potrebbe risultare come una domanda retorica. Quale l’effetto provocato nel sapere che state registrando per l’etichetta che ha lanciato i Nirvana?
Sinceramente è stata una soddisfazione nel momento in cui Sub Pop ci ha contattati. Ma ho subito pensato agli sviluppi futuri più che al fatto in sé. E’ importante avere i giusti mezzi per le proprie esigenze. Man mano che queste crescono, i mezzi devono aumentare. Quindi sono stato molto lusingato ma mi rimbocco le maniche perché tutto deve ancora succedere.
Avrete sicuramente delle aspettative su questo nuovo lavoro “The midnight room”, quali?
Ne ho sempre. Per “The midnight room” ho lavorato un anno e mezzo isolandomi e cercando la giusta condizione esistenziale per poter scrivere un disco che fosse un’evoluzione rispetto ai precedenti. Ho organizzato uno studio nuovo in una vecchia scuola anni ’30 nella campagna del Polesine. Ho scritto, pre-prodotto e registrato l’intero disco laggiù. L’unica collaborazione esterna è stata quella di Beatrice Antolini al piano di Electric Princess… intesa stilistica perfetta. Tutto è stato in funzione del disco. Quindi sì, ho delle aspettative e sono sempre le stesse. Cerco l’evoluzione, il progresso, voglio realizzare una realtà che mi assomigli e risponda ai miei bisogni, musicalmente e non. Voglio che la band possa suonare sempre di più dal vivo. Abbiamo visto la Spagna, l’Italia, gli Stati Uniti, l’Inghilterra, la Cina……voglio che questa sia sempre la mia vita, sempre di più. Voglio registrare il prossimo disco senza dover morire di freddo e mangiare scatolette: ecco le mie aspettative.
Esiste una sostanziale differenza dal produrre un lavoro e dall’affidarlo ad una Label esterna. Mi riferisco alla vostra prima realizzazione su Sillyboy ed al successivo passaggio per Subpop?
No. Non c’è nessuna differenza. I dischi li ho sempre scritti suonati e prodotti con la stessa libertà. Io di questo sono grato a Sub Pop. Ci hanno presi per quello che eravamo non volendo cambiarci di una virgola. La differenza la vedi sulla promozione e distribuzione. Sai che il tuo lavoro verrà recensito. Insomma, sai che se ne parlerà…..anche all’estero. E’ stato proprio un bel salto di qualità per me.
Adesso parliamo di stili musicali. La psichedelia quanto incide nella ricerca dei suoni?
Tutti i generi mi danno qualcosa. Adoro certi suoni creati da Joe Meek e Phil Spector. Erano due grandi produttori. Per il nuovo disco volevo una purezza simile a quella di certi dischi di Coltrane o i dischi di classica della Decca o della Mercury. Volevo un suono che funzionasse tanto cinquant’anni fa quanto tra cinquant’anni: comunque la spontaneità è tutto. Il mio background è formato dai più svariati ascolti e ciò si riflette sulla produzione. La psichedelia mi interessa ma non più di altre cose.
Quali gli elementi che vi hanno fatto avvicinare ed amare successivamente il rock’n’roll americano ed i musicisti europei come Nino Rota?
In realtà mi sono sempre piaciuti. Una delle mie prime cassette da bambino è stata (assieme a Beatles e Mozart) Chuck Berry, Platters e raccolte anni Cinquanta in genere. Quelle sono le origini. Sono imprescindibili. Non puoi suonare la chitarra se non sai chi è Chuck Berry, Link Wray, Duane Eddy o il Johnny Burnette Trio o più tardi Hendrix, Page e Barrett. Nino Rota e Komeda hanno plasmato i miei film preferiti dando l’idea di cosa la musica possa riuscire ad evocare. Quindi, da una parte la musica nella sua forma più fisica, ormonale e istintiva (rock’n’roll etc.) e dall’altra il trionfo della forma, l’aulicità non sterile ma extraterrena, infinitamente ricca di spunti, atmosfere, ed intrecci armonici (Mozart, Bartòk, Beethoven, canti gregoriani etc.). Trovo che ci possa essere un’unione tra i due mondi…..anche Freddie Mercury lo pensava.
Con la separazione del batterista Alessio Gastaello avete mantenuto il giusto equilibrio?
So che Alessio continua a suonare con un suo progetto Mamuthones e collabora con Fabio Orsi, un musicista che esce per A Silent Place, l’etichetta di Andria che ha già pubblicato A New Astronomy. La vita porta le persone dove davvero vogliono andare. Una volta capito questo, non esistono problemi. Basta sapersi parlare guardandosi negli occhi come abbiamo fatto noi due.
Come nasce una canzone in Jennifer Gentle?
Una canzone per me nasce dall’esigenza di dar vita ad un’entità astratta che rappresenti qualcosa che non esiste nella realtà di tutti i giorni. Una canzone, pop o meno che sia, deve fornire un’alternativa a ciò che la realtà già è. Intraprendo un viaggio nel mio io e vado a curiosare in giro. A volte è possibile fare degli incontri molto interessanti e allora decido di musicarli. In questo senso ogni canzone è una colonna sonora del mio immaginario. Una costruzione architettonica nella quale posso passeggiare, sognare ad occhi aperti, decidere se e quando svegliarmi.
Per quale motivo, a vostro avviso, la musica dei Jennifer Gentle è così apprezzata all’estero e meno in Italia?
A questo davvero non posso risponderti: piuttosto dovresti chiedere alla Sub Pop perché ci ha messo sotto contratto. Probabilmente quello che suoniamo non è considerato molto interessante in Italia; inoltre è anche vero che noi stessi ci siamo sempre considerati un po’ dei corpi estranei. In questo paese c’è sempre la tendenza ad essere fagocitati da un’idea di “scena” che ci ha sempre messo a disagio. Però abbiamo ora la possibilità di guardare all’estero, il che è sempre una grande opportunità per imparare e crescere. Autore: Patrizio Longo/Extranet www.patriziolongo.com
www.jennifergentle.it/

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