I God Is An Astronaut, trio irlandese, giungono al quarto lavoro con il disco più articolato di tutta la loro discografia: “Far From Refuge”. Sfruttando le stesse sonorità dal loro album d’esordio (The End Of The Beginning del 2002) creano melodie ben congegnate, strutturate secondo un rigoroso metodo che solo ascoltandoli si percepisce la loro qualità nel fare musica. L’elettronica tenuta a livelli discreti non è mai di rilevante ingombro; la chitarra arpeggiata accompagnata da un basso ripetitivo e deciso è capace di fare attraversare fiumi di gioia passando per situazioni emotivamente critiche; la batteria poi, con quel suono secco, risucchiato, e con la grinta di riff tribali costantemente sopra i 120 bpm riesce a rapire anche gli animi dei più diffidenti. Ogni canzone ha un inizio calmo, risultato di un’attenta riflessione, per poi crescere a tal punto da riuscire a sfoggiare tutti i sentimenti che GIAA hanno dentro.
L’album si compone di nove tracce. La prima canzone ha il singolare titolo di “Radau” che in tedesco significa semplicemente “casino” ma più che un casino direi che è un piacevole insieme di suoni per le orecchie di un attento ascoltatore. La seconda traccia è omonima del cd e riesce ad esprimere la malinconia, la rabbia e l’alienazione di questo grande gruppo: una sorta di “rutto libero” senza guardare in faccia nessuno. Dalla terza song si entra in una serie di canzoni mid-tempo senza rilevanti particolari. Alcune di loro, se fossero caratterizzate da testi correttamente articolati, potrebbero diventare vere e proprie ballade. Con “Darkfall”, numero sei della tracklist i GIAA suonano la loro avventura col brano più silenzioso ma sicuramente più assordante del disco.
Una giusta pausa per riprendere fiato e per far riposare la mente e poi via. Si riparte con il brano che chiude questo fantastico album e che ha il compito di volgere un occhio al futuro della band: il synth spadroneggia su un fischio noise di sottofondo e una chitarra urlatrice cessa i suoi lamenti solo dopo più di cinque minuti.
GIAA, in viaggio da più di 5 anni, sono ormai “lontani dal rifugio”: rischiano tutto, non hanno paura di cosa succederà se il disco non venderà un fottuto numero minimo di copie, non perderebbero niente.
Hanno già la soddisfazione di suonare quello che vogliono.
Autore: Andrea Sassi