C’è grande interesse intorno all’epoca d’oro del rock australiano (fine anni ’70 – metà anni ’80). E tale interesse si sta traducendo in una messe di grandi ristampe. La più attesa tra quelle annunciate da tempo arriva finalmente negli scaffali dei negozi. Si intitola “Rocket To Tarrawanna” (Bang!) e contiene l’opera omnia dei seminali Proton Energy Pills. Il quintetto di Wollongong, guidato da Stewart Cunningham e dai fratelli Curley, altro non era che una band di teenager che volevano suonare rock’n’roll, fare casino e divertirsi. Il loro sound al contempo caotico e melodico colpì l’attenzione dell’etichetta Waterfront e di un certo J. Mascis (Dinosaur Jr) che decise di produrre il secondo singolo della band, l’eccellente “Less Than I Spend”. I Proton Energy Pills divennero parte integrante della scena di Sydney a cavallo tra ’80 e ’90. Registrarono ancora dei sette pollici e un EP, prodotto da Kent Steedman dei Celibate Rifles, prima di sciogliersi. “Rocket To Tarrawanna” è il testamento musicale di una grande band dalle cui ceneri nacquero poi formazioni come Tumbleweed e Brother Brick. Contiene 19 canzoni ora caotiche ora più meditate, ma sempre energiche e viscerali. Non c’è solo l’impronta del classico rock’n’roll australiano in questi solchi, ma anche l’influenza di gruppi loro coevi – come Dinosaur Jr., Mudhoney, Sonic Youth o Nirvana – con cui i PEP ebbero la sorte di condividere i palchi.
E proprio il chitarrista dei Proton Energy Pills, Stewart Leadfinger Cunningham, dopo quindici anni spesi a regalarci riff taglienti e splendide canzoni, con Brother Brick, Asteroid B-612, Yes-Men e Challenger 7, dà alle stampe il suo primo album da solista. Si intitola “The Floating Life” ed esce sempre per l’etichetta spagnola Bang!. Racchiuso in una lussuosa confezione digipack (o vinile 180 gr. con gatefold sleeve!), “The Floating Life” è un disco intimo, privato, personale. Molti umori convivono nella tessitura di questo lavoro registrato in perfetta solitudine nello studio di casa, nell’estrema periferia a sud di Sydney: dall’iniziale “Went Looking”, solo per chitarra acustica e voce, alla delicata “Edge of Suburbia” passando per i frammenti power-pop di “Thin Lizzy”, per l’incisiva “The Sydney Way?” e la desertica di “Back in the Burgh”. Mentre la title-track, ispirata all’opera del poeta australiano John Forbes, sembra una potente dichiarazione dal profondo dell’anima. Chiude “The Music Had The Last Say”, uno dei momenti più ispirati e intensi dell’album dedicato all’amico Sean Greenway (The Yes-Men), prematuramente scomparso nel 2001.
Dall’etichetta Memorandum/Reverberation arriva invece un’altra attesa ristampa. Quella dedicata ad uno dei gruppi più ingiustamente sottovalutati della seconda ondata del rock australiano: i Kryptonics. “Rejectionville” è una superba antologia in doppio-CD, racchiusa in una splendida confezione apribile. Contiene pure un libretto di 32 pagine che racconta la storia del combo di Perth corredando il tutto con belle foto, riproduzioni di poster e un esplicativo albero genealogico della band capitanata da Ian Underwood (poi leader dei favolosi Challenger 7 negli anni ‘90). Nei solchi dei due CD si trovano ben 38 canzoni che documentano l’intera epopea (1985 – 1992) di un gruppo che avrebbe meritato consensi ben più ampi. I Kryptonics, infatti, erano esponenti del miglior rock’n’roll australiano: quello fatto di melodie solari, un sound chitarristico incisivo e un selvaggio approccio garage-oriented. Come dimostrano canzoni immortali quali l’iniziale “She Got Germs”, la più oscura “Land That Time Forgot”, la nervosa e tagliente “Trapped Inside”, la lirica “Baby”, la splendida title-track e vari episodi live (inclusa una cover di “Another Girl, Another Planet” degli Only Ones) che fotografano i Kryptonics nella dimensione a loro più congeniale. Se avete amato gruppi come Lime Spiders, Screaming Tribesmen, Hoodoo Gurus e Sunnyboys, “Rejectionville” non può mancare nella vostra collezione di Aussie-rock. Per il sottoscritto, ristampa dell’anno!
Sempre in tema di ristampe segnaliamo l’omonima antologia dei Bo-Weevils (Off The Hip), anche loro attivi tra i medi anni ’80 e la metà del decennio successivo. E anche loro misconosciuti.
Il quartetto di Melbourne era artefice di una favolosa miscela Sixties, al tempo stesso ruvida ed evocativa, che collocava i Bo-Weevils esattamente nella terra di confine tra garage e psichedelia. Questo doppio CD ripercorre la carriera del gruppo attraverso ben 30 canzoni tratte dai cinque album della band, da registrazioni live e dai lati B dei loro singoli. Si tratta di una riscoperta davvero preziosa, visto il valore superlativo della formazione composta da Neil Rogers, Mark Jenkinson, Davern White e Nino Spadaro.
Dagli anni ’80 facciamo un salto all’indietro ai meravigliosi Sixties, decennio in cui operavano i Wild Cherries. E’ Half A Cow a pubblicare “That’s Life”, bella antologia che raccoglie rare registrazioni del quintetto di Melbourne. In particolare si tratta dei quattro singoli pubblicati nel biennio 1967-68 su etichetta Festival e ben sedici brani inediti tratti da nastri del 1965-66. Il gruppo capitanato dal chitarrista Lobby Loyde pescava a piene mani nella tradizione soul e R&B, virava verso il beat e si inoltrava in territori psichedelici. Benché assai meno conosciuti di gruppi loro coevi (Missing Links ed Easybeats, tanto per citarne un paio), i Wild Cherries erano una formazione originale e perfettamente calata nello spirito del tempo. Si ascoltino episodi quali “That’s Life”, “Try Me”, “Worried Blues” o le belle cover di “Coming back home”, “Tobacco Road” e “Baby Please Don’t Go” per farsi un’idea. Nel loro repertorio c’erano anche brani un po’ più mielosi, ma anche questi si rifacevano allo spirito del tempo. Comunque le tracce blues-oriented del biennio 65-66 sono letteralmente esplosive.
Dai Sixties ai nostri giorni il passo è breve con il primo album delle Shymmys, il più eccitante combo femminile australiano. Dopo avere dato alle stampe un bell’Ep qualche mese fa, il terzetto adesso raddoppia con il primo disco sulla lunga distanza. Lunga distanza si fa per dire, visto che in “Drive You Wild!” (Off The Hip) le Shimmys comprimono 12 brani in neppure mezzora. E però si tratta di ventisei minuti ad alto tasso ludico e coinvolgente. La formula è ampiamente sperimentata, ma non smette mai di divertire: garage-rock’n’roll primitivo, spruzzato da ampie dosi di fuzz, ritmiche minimali e organo Vox. Se avete amato le Pandoras e le Headcotees, avete danzato con i B-52’s, e oggi impazzite per le 5.6.7.8’s, non mancate il contatto con questo disco.
Chiudiamo, infine, con i Mess Makers, quintetto di Sydney formato da ex membri di formazioni locali più o meno note come Crusaders e Intercontinental Playboys. “Wipe Your Face” (Off The Hip) è un concentrato di rock’n’roll e garage-punk dalle influenze piuttosto varie. Se “Discomfort” mette in mostra ritmiche ipnotiche e un bel assolo, un pezzo come “Snooze” potrebbe stare benissimo su un disco di b-sides dei Cramps, mentre in “If You Don’t Mind My Mind” emerge la passione dei Mess Makers per i Sixties e per un bel sound chitarristico. Da segnalare anche un particolare che la dice lunga sull’attitudine della band: i dodici brani dell’album sono riproposti per ben due volte: la prima in stereo, la seconda in versione mono. Una scelta inusuale, però azzeccata, che svela tutto l’amore dei Mess-Makers per il sound analogico e le registrazioni vintage!
Autore: Roberto Calabrò
www.bang-records.net – www.reverberation.com.au – www.halfacow.com.au – www.offthehip.com.au