Alex Scally e Victoria Legrand, alias i Beach House di Baltimora, sono con Devotion alla seconda prova, dopo l’esordio del 2006: il dream-pop trasognato e fuori tempo di allora non sembra essersi evoluto in due anni, perché le 11 tracce del nuovo album mostrano esattamente le stesse caratteristiche, senza troppa traccia di cambiamenti: una tastiera-organo che fa tutto al ritmo di una batteria elettronica che disegna tempi mai oltre l’adagio, e una voce femminile adeguatamente effettata per dare l’effetto vagamente onirico e solare che caratterizza il sound di questo duo. Avete presente il ritmo cantilenario e vagamente surreale di Sunday Morging dei Velvet Underground? Immaginatevelo duplicato 11 volte, con magari un po’ più archi e tastiere, con una voce più dolce e più femminile, ma anche con molto molto meno genialità, e troppa ossessiva ripetizione.
Il difetto di questi brani è il volere rimanere troppo incollati alla tradizione un po’ vintage che i due cercano di seguire: a volte ciò riesce bene, come in Darling, o the Wedding Bell, e possiamo salvare anche All the Year e Some Things Last, ma il resto dell’album conosce troppe uguaglianze e autocitazioni, in un’assoluta identità di ritmo (peraltro sempre lento) che alla fine stanca.
Certo, tanta dolcezza, raffinatezza, eleganza, e tratti onirici che possono farti viaggiare verso l’autunno, o l’esatto contrario, cioè il sole e il mare annnunciati dal nome del duo: ma alla fine il richiamo (voluto, anzi spinto) agli anni ’50 diventa un po’ stucchevole, visto peraltro che, scusate la banalità, gli anni ’50 sono passati da un bel pezzo.
Qualcuno potrà gridare alla psichedelia stile Mazzy Star e Low, ma se c’è qui si fa gioco troppo declamato per poter diventare interessante: e comunque mancano fondamentalmente le chitarre e i bassi per dare a questa psichedelia un apparato melodico completo. Un premio va senz’altro alla voce di Victoria, ma vien fatto di chiedersi che altro avrebbe potuto fare se i Beach House scegliessero di evadere per un po’ almeno dai giardini di casa in cui vogliono restare a camminare.
Autore: Francesco Postiglione