L’età dell’oro delle jazz big band inizia negli anni 20, con i night club delle grandi città americane che potevano permetersi di scritturare orchestre stabili o in tournèe di 12 o addirittura 20 elementi, con quello che poteva costare, e termina negli anni 50, quando ciò non era più sostenibile, ed il jazz si adatta verso i quintetti o i sestetti, e forse non a caso fiorisce il be-bop.
Il Raah Project da Melbourne, Australia, formato da giovani jazzisti scapigliati attorno ai due componenti principali che sono Tamil Rogeon e Ryan Ritchie, prova a ricostituire una big band in giacca e cravatta, e se da un lato ci offre un viaggio nella storia del jazz, l’obiettivo alternativo è anche quello di mostrare nuove prospettive per un genere musicale, sicuramente anche oggi molto vitale, ma snobbato dai giovani. Il progetto è pretenzioso, ma interessantissimo già in partenza, e anchenello sviluppo seguito.
Score è un disco piuttosto lungo, esplicitamente diviso in due parti: la prima, intitolata “The Lost Days”, 8 brani, richiama fondamentalmente lo stile delle big band di Duke Ellington, Benny Goodman, Stan Kenton, Lionel Hampton o Count Basie, in una chiave però moderna, con eccellenti innesti elettronici su possenti sezioni d’archi e fiati, pochissima concessione ai solisti però, e con grandiose atmosfere spaziali, dilatate e dense di suoni, che senz’altro riprendono taluni momenti, diciamo quelli meno impegnativi ed avanguardistici, dei viaggi siderali della Sun Ra Arkestra; ed il nome del gruppo, nonchè la copertina “galattica” dell’album, non sono un caso, gettando un ponte per la verità pure ai fans di Hawkwind, Tangerine Dream o addirittura Warlocks, sebbene il Raah Project voglia mantenersi classico, somigliando così molto più all’immensa Duke Ellington Orchestra, nel suo piccolo. La sostanziale ortodossia trova conferma anche nel canto di Ritchie e degli altri vocalist, che ricordano in alcuni casi Bing Crosby o Frank Sinatra (‘Trick Of the Light’), e altre Sting, e poi nell’assenza di qualunque coraggiosa cacofonia stile Sun Ra. Poetici e delicati i testi dei brani, ed elettronica che a volte sapientemente si ritira (‘Dawn to the Night’), dunque ritmi e canto che attraversano il soul e l’hip hop (‘Swing on her Shoes Movement 2’, ‘Funeral Wedding’), spartiti fantastici (‘Trick of the Light’), space jazz, nubi di interferenze elettriche (‘Interlude’) o atmosfere suadenti à la Gothan Project.
I due giovani dietro il progetto, Tamil Rogeon e Ryan Ritchie, a quanto si capisce, hanno inciso il disco durante una live performance del 2005 a Melbourne, e dopo i primi 8 brani, che vanno nettamente a segno, con sentimento e suggestione, la seconda parte intitolata “Found Lost in a Modern World”, che dovrebbe aprire prospettive al jazz moderno, perde in buona parte slancio, e non riesce ad aggiungere nulla di concreto alla prima metà di Score; e l’orchestra diventa un mammut che si muove a fatica. Chi ama i Portishead, i Jazzanova, i Massive Attack, i Jaga Jazzist, o i Phoneheads di Live at Tonhalle, potrà trovare vari punti di contatto tra i suddetti gruppi ed il Raah Project, e credo ci sia proprio quella di gettare ponti verso il jazz, tra le intenzioni de questi musicisti.
Autore: Fausto Turi