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Intervista: Songs for Ulan

di Redazione
16 Dicembre 2013
in Interviste
Tempo di lettura: 8 minuti
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Il nuovo disco di Songs for Ulan, è ‘You Must Stay Out’, un piccolo mistero che siamo ansiosi di svelare, essendo rimasti positivamente colpiti dal precedente, impeccabile, disco omonimo del 2004. Già allora in molti, su fanzines e giornali specializzati, provammo a lanciare idee e ad immaginare come il suo successore avrebbe dovuto essere: con più canzoni, di durata maggiore, con una produzione più elegante ma senza perdere l’approccio ‘sporco’ e ‘bastardo’, e quei suoni notturni e rurali. Pietro de Cristofaro, artista napoletano da molti anni a suo agio nell’underground italiano, ha fatto di testa sua, ed in anteprima lo incontriamo per chiedergli come sarà questo ‘You Must Stay Out’ uscito in questo inizio del 2006 per l’etichetta Stout music, e per ripercorrere il suo percorso musicale.

Pietro, del nuovo disco di Songs for Ulan si conosce già il titolo: “You Must Stay out”; quando uscirà nei negozi?
Il disco è pronto, è uscito a Febbraio 2006. E’ stato inciso lo scorso Luglio allo Zen Arcade, a Catania, come il precedente. Volendoli confrontare, è venuto fuori ancora più scarno, nel senso che la fase di missaggio dell’omonimo “Songs for Ulan” l’avevamo fatta, grazie a Daniele Grasso, al “The Cave” ( sempre a Catania ) con maggiore ricorso alla tecnologia. Qui invece abbiamo utilizzato il solito, amato, semplice 8 tracce per incidere, ed abbiamo mixato sul posto, ricorrendo al computer soltanto in un paio di casi in cui il lavoro altrimenti si sarebbe complicato.
Il disco suona ancora più “bastardo”. Al Nautilus,con Giovanni Versari , abbiamo poi masterizzato. Sono molto contento del risultato. Sono canzoni che ho iniziato a scrivere appena terminato il lavoro precedente, nel 2004, e così ci sono dei collegamenti con l’altro. Dura 35-40 minuti, i tempi di lavoro in studio sono stati rilassati, le “take” molto scarne, e ci sono due tracce addirittura registrate a casa mia con i motorini che passano giù in strada… abbiamo deciso di lasciarli … del resto questo genere di musica va fatto in modo istintivo: se lo curi troppo diventa acqua fresca e non serve a nulla.
Pensa un po’: il prossimo disco di Cesare Basile (“Arlequin Song”, ndr) – dimenticavo, anche stavolta ne ha curato la produzione artistica – è stato registrato al 90% live… ti rendi conto? Ho avuto modo d’ascoltarlo in anteprima: è splendido.
Per il mio “You Must Stay Out” abbiamo usato una strumentazione tradizionale, c’è il pianoforte in 2-3 brani, e la presenza di questo strumento è discreta ma importante: per i live dovrò trovare soluzioni alternative al piano, e non sarà facile. Mi aiuterà il contrabasso di Fulvio…
Chi ti accompagna sul palco, in questi concerti autunnali?
I ragazzi con i quali ho inciso il disco: Floro Pappalardo alla batteria, Fulvio di Nocera al basso (già con Bisca, Polina, 24 Grana, ndr), Enzo Mirone alla chitarra.
Com’è questo mitico Zen Arcade, lo studio di registrazione di Catania? so che è un ambiente familiare…
Zen Arcade è in pratica il garage di Cesare Basile;Vi alloggiano loschi musicanti, qualche birra e piacevolissime letture. E’ un posto dove lavorare in tranquillità.
Qualche mese fa mi raccontavi le tue idee sulle incisioni in “bassa fedeltà”, e mi dicevi che non ami chi lo fa per mestiere, e per seguire la moda…
Non mi piace in generale chi si pone in maniera seriosa nei confronti di ciò che fa; il mio non è un giudizio da tecnico o da intellettuale che vuol spiegare come le cose vanno fatte: dico soltanto che c’è chi ostenta questa cosa, ed a me non piace tanto, e c’è chi invece lo fa semplicemente e con naturalezza, ed io non ho nessuna difficoltà a riderne o a piangerne; mi piace come metodo, è una maniera molto istintiva di lavorare.
Il tuo unico lavoro in italiano? E’ un disco introvabile, quello…
Beh… Ne ho un buon ricordo, tuttavia: con quel disco facemmo da spalla ai Cure allo Stadio Olimpico di Roma…
Tornando al discorso di prima, è per questo che mi piace lavorare con Cesare Basile, perchè da questo punto di vista abbiamo la stessa testa; produce in questa maniera anche i suoi dischi.
Ovviamente Cesare ha vicino musicisti del calibro di John Parish; ma , nel mio piccolo, con pochi soldi, con la sua partecipazione, e con quell’affarino a 8 tracce che “sporca” le incisioni quando una “take” ti viene bene e 100 uno schifo, per i miei gusti musicali va bene.
E riguardo la durata? Molti giornalisti ti chiedevano di riprovarci sulla più lunga distanza, dopo il disco omonimo…
Non è lungo, sono 11 canzoni rispetto alle 7 del precedente; quello durava sui 27 minuti, questo arriva a 37!
Penso che i dischi non debbano durare troppo, 35-40 minuti, non più di un tempo di una partita di calcio insomma, altrimenti ti rompi le palle.
Se un disco ti piace lo riascolti volentieri.
Penso che le cose belle non vadano diluite in cose mediocri: meglio un disco breve ma con tutte canzoni ben curate, no? Le canzoni che scrivo, poi, non sono mai lunghe, questa è una mia caratteristica. Nel nuovo disco c’è un “mattone” (almeno per i miei standard…) di 5 minuti; ma in linea di massima mi mantengo sui 2-3 minuti a brano. Poi c’è una cover dei Gun Club che amo molto, che si chiama ‘Secret Fires’, che è la traccia aggiunta sul loro CD “Las Vegas Story” (sul vinile non c’è…) ed è una sorta di traditional folk quasi irlandese, con JeffreyLee Pierce che canta accompagnandosi con la chitarra.
Noi l’abbiamo riarrangiata con piano, banjo e voce.
Collaborazioni sul disco? c’è Marta Collica, mi pare…
C’è anche, e come tutti coloro i quali vi hanno preso parte lo ringrazio, Hugo Race, che interviene in alcune parti di chitarra ed in un coretto bastardissimo nel pezzo dove canta Marta. Poi ci sono i Tellaro ( Francesco Cantone e Tazio Iacobacci ) che partecipano come nell’altro disco di SfU del 2004.
Ho ascoltato l’ultimo disco dei Tellaro: ci sono delle similitudini molto forti tra la loro musica e la tua. Ma nel tuo repertorio ci sono anche altre cose –come la bella ‘Now I Know’– molto ruvide, che i Tellaro non inciderebbero mai…
Bah, tu che ne sai! Ti racconto come nacque ‘Now I Know’: eravamo a casa di Cesare, faceva un gran caldo, più di 40°C, stavamo guardando ‘Miami Vice’ alla tv e c’era una scena in cui detective ciccione sparava al televisore dicendo: “Elvis, adesso so perchè l’hai fatto…”.
Per il disco avevo già pronte diverse canzoni, ne avevamo selezionate sei, ma mancava qualcosa di più rock’n’roll; così, con semplicità, abbiam deciso di fare un pezzo di tre accordi soltanto: Mi maggiore, La maggiore, Si7 maggiore; l’abbiamo registrato live, ho scritto una frase e l’ho ripetuta due tre volte al microfono, l’abbiamo mixiata ‘mono’ ed è uscita così.
Molta gente dà importanza a quella canzone e mi lusinga. Io la prendo per quello che è: un gioco. Quando la eseguo mi vien spesso da ridere (mi dicono: “nel tuo
disco c’è questo picco…”). La verità è semplicemente che è lì perchè “stacca”, nel disco, rispetto alle altre canzoni.
Vedi, il disco omonimo del 2004 è perfetto, come piace a me, ha una scaletta perfetta. “Now I Know” in quel momento ci sta benissimo. Nel lavoro nuovo non ci sono cose con lo stesso tiro, ma, mediamente, le canzoni suonano più rock’n’roll: la metà dei pezzi è sul genere acustico del precedente – soltanto ancora più scarne – e l’altra metà delle canzoni è decisamente più aggressiva.
Ti va di raccontarmi cosa facevi prima di questo progetto Songs for Ulan?
Ne ho fatte di tutti i colori…
Giungesti ad incidere qualcosa?
No, ma con la prima formazione –i Nani Sordi– suonammo parecchio in giro, e spaccavamo…: roba grunge molto americana: erano i primi anni 90. Ricordo che Federico Guglielmi (critico e giornalista musicale, ndr) stravedeva per noi, ci consigliò di fare pezzi in italiano. Ricordo un gran concerto a Roma nel 94 come supporto ai Motorpsycho di Demon Box, al centro sociale “Il Faro”.
Poi furono i Lemonkillers – il trio che venne dall’ Inferno (!!!) – in cui suonavo la chitarra e cantavo…
Hei, ricordo di aver visto i Lemon Killers in concerto al Neapolis Rock Festival, nel 1994! Eravate bravi…
Con loro, in occasione di un concerto al Sonica di Catania, conobbi la cricca catanese che ancora frequento.
Ho saputo che un pezzo del tuo disco nuovo è stato pubblicato su “Songs for Another Place”, una raccolta in 2 CD di gruppi underground italiani ed americani.
Si, la canzone mia è proprio ‘You Must Stay out’.
Il disco uscirà contemporaneamente su “AwfulBliss rec.” in America e su “Urtovox” in Italia, e contiene pezzi di un bel po’ di “Brava Gente”…
E’ stata una bella esperienza la promozione live del disco precedente? Cosa stai preparando, invece, per portare in giro “You Must Stay out”?
Il disco precedente l’ho inciso quasi per scherzo; lo mandai in giro per lo più ad etichette discografiche straniere, la prima che si dimostrò concretamente interessata fu la “Stout” di Alessandro Forniti, ci incontrammo a Firenze e al primo approccio…
Non abbiamo suonato tantissimo in realtà, ma il Live è sempre piaciuto assai.
Abbiamo forse perso un’occasione importante in Primavera, dovevamo aprire al Circolo degli Artisti di Roma per Polly Paolusma, ma in quei giorni morì il Papa, così anche il nostro concerto fu annullato per il lutto. Ma ci siamo rifatti, suonando insieme a Paolo Benvegnù, Marco Parente, Cesare Basile… con tutti loro è nata anche un’amicizia vera.
Riguardo il disco nuovo, io ed Alex stiamo pianificando la promozione con molta pazienza, per ottenere il meglio.
C’è una differenza però: il precedente disco era affidato in licenza , mentre questo è stato realmente prodotto da Stoutmusic . Alex si stà guardando in giro… il disco uscirà in Febbraio. Oltre non si può aspettare: sai come funziona, no?
In Agosto hai suonato al Neapolis Rock Festival, proprio nella serata di Nick Cave: ci racconti come andò?
Quel giorno ci fecero suonare appena aperti i cancelli, alle 17:00, ricordo che c’era un gran caldo e solo una piccola parte del pubblico era già lì sotto il palco… ma suonammo bene, ad ogni modo. Il contrabbasso era talmente potente che faceva tremare il palco: è stata un’occasione importante per noi, quella data. Nel backstage c’era Nick Cave, ma non mi sono neanche sognato di andare a rompergli le palle, non è da me; ma aprire ad un festival proprio nella giornata di Nick Cave è stato grande.
Hai già suonato dal vivo qualcuno dei pezzi nuovi, prima dell’uscita del disco?
In questo Autunno abbiamo iniziato a rodare sul palco qualche nuovo pezzo, durante alcuni concerti a Napoli. Non abbiamo ancora un’idea definitiva di come li proporremo dopo l’uscita del disco, nelle date che faremo in Primavera.
Ho avuto la fortuna di intervistare Marco Parente, qualche settimana fa, qui a Napoli per un suo concerto. M’ha parlato di una amicizia, e non di una scena musicale, tra gli artisti indipendenti italiani. Che ne pensi?
E’ esattamente così. Aprii un concerto di Marco a Modena, qualche tempo fa. Dopo gli detti un passaggio in auto da Modena e Firenze, così nacque l’amicizia. So che anche tra Manuel Agnelli, Cesare Basile, Paolo Benvegnù e gli altri è vera amicizia.
Spesso, parlando con loro, mi hanno consigliato di spostarmi a Milano, dove potrei stare più vicino e trovare maggiori spazi, ma ho un problema irrisolvibile: non riesco a vivere lontano dal mare. C’ho anche provato, in passato: è durato pochi giorni.
Curiosa questa cosa che dici… contrasta con la tua immagine oscura, notturna.
Ma i personaggi oscuri, come dici tu, sono per forza autoironici. Inoltre nessuno vieta loro di amare il mare.
Non mi piacciono quelli che se ne stanno gobbi sul loro strumento e propongono la loro musica folk fatta con artifizi tecnici vedi “line 6 finanche nel buco del culo del suonatore di lenti a contatto”… sterili virtuosismi. Se vedo che uno è artificiale non mi piace. Invece prendi uno come Howie Ghelb: Lui oltre che “ enorme”, è uno che si diverte.
La tua scelta di cantare in inglese è irreversibile?
No, ma per il momento non ho intenzione di cambiare. Credo che la musica italiana non funzioni molto bene col sottoscritto, ed al di là del primo disco non ho mai cantato o scritto in italiano. Scrivere in inglese mi viene naturale, e sono convinto che soltanto in inglese riesco a scrivere cose che suonino personali: scrivendo in italiano potrei diventare, con tutta la stima ed il rispetto, Nek.
Il mio ultimo CD può piacere o meno, ma io gli voglio bene perchè è personale, pur richiamando un mondo tutto americano.
Sembri molto sereno nelle tue scelte impopolari.
Io non sono per niente una persona serena. Non mi piace strafare, fare grandi annunci riguardo i miei progetti. Di politica e di società non canto né straparlo, me ne guardo bene, anche se ho le mie idee.
D’altro canto, qualche tempo fa ho conosciuto Giovanni di Bella (cantante dei 24 Grana, ndr),ed abbiamo suonato insieme qualche standard di Johnny Cash, di cui Giovanni è un patito, oltre che un esperto conoscitore.
Mi piace Cash perchè negli anni 50 faceva le stesse cose di Elvis, ma senza mettersi in evidenza a tutti i costi. Cash sapeva suonare anche seduto su una seggiola…o fermo, in piedi, la sua chitarra e la sua faccia.
Senza sbattere il culo, come disse qualcuno che amava…Autore: Fausto Turi
www.songsforulan.com

Prec.

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