Lo avevamo capito con “Three-Four”: via i morbidi arpeggi di “Very Soon, and in Pleasant Company”, gli Shipping News puntano al ruolo di post-rock band che graffia, urla, picchia. Forse già math-rock, come, nuovamente, ai tempi in cui Jeff Mueller e Jason Noble, con la prua dei June of 44 di cui erano timonieri, fendevano l’aria rock di 10 anni fa addomesticandola alle nuove geometrie in crescente auge.
La novità necessitava tuttavia di una adeguata conferma: più che il nuovo album degli Shipping News, “Three-Four” era infatti opera poco ortodossa per essere etichettata, allora, come “nuovo album” del trio (completato da Kyle Crabtree). Oltre all’ampia forbice temporale tra le epoche di composizione dei brani, il disco era infatti un’assemblaggio di composizioni soliste dei singoli componenti, quindi eterogeneo nella sostanza. Ma, appunto, il dato era questo: gli Shipping News mostravano i muscoli, in guisa di reazione piuttosto esplicita al rammollimento e alla sterilizzazione in cui questo genere-non-genere stava incorrendo.
“Flies the Fields” resta incamminato in questa direzione, e a testimoniarlo c’è anche l’ingresso in line-up di Todd Cook, con un passato nei For Carnation e soprattutto in quei Parlour che con “Googler”, ormai due anni fa, avevano destato non poco interesse in chi scrive, e sempre nel senso di una decisa “rivitalizzazione” del perchè, in definitiva, del post-rock; aggiungete una registrazione curata da Bob Weston (Shellac, e tante altre storie) agli Zero Return studios di Atlanta (di proprietà del bassista dei Man Or Astro-Man?) e possiamo mettere una pietra sopra agli eventuali dubbi in merito: in “Flies the Fields” risalta un sound elettrico, nervoso, incalzante, e molto “fisico”, in cui la stratificazione e l’intensificazione dei suoni è tale da costringere – come se ogni spazio di effettiva contribuzione melodica fosse già stato riempito – la voce ad abbandonare il cantato e ad adottare un parlato nella tipica cadenza da coronarie in tracimazione.
Un sound comunque non a senso inequivocabilmente unico. Sarebbe evidentemente troppo chiedere all’ascoltatore di “non respirare” per tutti i tre quarti d’ora del disco, ciò a cui si è praticamente costretti in episodi come l’incalzante ‘Axons and Dendrities’ in apertura o l’ossessiva ‘(Morays or) Demon’ – in cui Jeff, o forse Jason, grida convulso “goddamn”, o qualcosa di simile – poco dopo. La dinamica seguita dai 4, allora, è stata quella di una ponderata alternanza di moods – e ritmi, e volumi: brani dispari “pestoni”, brani pari “di studio”, più meditativi, in cui le difese dell’ascoltatore possono abbassarsi, salvo essere richiamate in causa nel brano successivo. Canovaccio che si interrompe nella conclusiva ‘Paper Lanterns’ (i cui testi portano in buona parte la firma di Giovanna Cacciola, Uzeda/Bellini no?), in cui un basso profondo, metallico, ipnotico risucchia e annulla i precedenti gap sonori, ammantando di tinte scure – come già seppe fare ‘The Wheel’ dei Motorpsycho, anche se non in chiusura del doppio “Timothy’s Monster” una decade fa – un album già non troppo incline a carezzare gli animi sensibili. Anche se non siamo a fare il tifo per il re del MotoGP possiamo dirlo forte: che spettacolo!!
Autore: Bob Villani