Con l’uscita di “Avatar” i Comets on Fire hanno un tantino assecondato quei suoni granitici e spaccamuri che avevano tanto caratterizzato album come “Field Recordings from the Sun” o “Blue Cathedral”, per dar spazio ad atmosfere più rilassanti e meditative. Naturalmente la loro musica resta sempre radicata in quelli che sono i riff e le strutture compositive tipiche dell’hard rock e del progressive stile anni ’70, non dimenticando il gusto per la ricerca e la rielaborazione in chiave prettamente intimistica delle sfuriate in stile Hawkwind e Blue Cheer. Qui di seguito abbiamo l’intervista con Noel Harmonson, tastierista del gruppo nonché autore di tutti quegli effetti di eco e delay (quasi sempre presenti nei loro album) usciti fuori dal suo echoplex, cercando di trattare per intero i tratti salienti della loro carriera musicale.
Cos’è che vi ha spinto a suonare partendo dal rock del passato? E’ stata una scelta ragionata oppure dalle vostre parti è naturale fare riferimento alla psichedelica e all’hard rock?
Beh, penso che noi abbiamo notato nuovi legami all’interno della musica rock. Naturalmente queste scoperte sono iniziate prima di noi, sin dal 1970, e partendo da lì si può fare riferimento a quegli anni guardando ed ascoltando la musica con occhi ed orecchie differenti. Tutto questo va unito al fatto che quando abbiamo iniziato a suonare avevamo poco più di vent’anni, eravamo entusiasti e non avevamo paura di fare le cose nel modo sbagliato, volevamo semplicemente esplorare il reame del rock a cavallo fra gli anno 60 e 70 ed arricchirlo con le trovate chitarristiche di gruppi come Sonic Youth, Dinosaur Jr, White Heaven, Ghost e con influenze noise e free jazz.
Quali sono le tendenze musicali attualmente più in voga in California e quali sono le band che ammirate maggiormente?
Ci puoi trovare qualsiasi tipo di musica in California. Sono sicuro che l’hip-hop e la musica dance sono molto più popolari su ampia scala rispetto a ciò che stiamo facendo noi e le nostre band locali preferite. Gli Om sono un ottimo gruppo. Ci suonano il bassista ed il batterista di una band heavy rock leggendaria negli anni 90, gli Sleep. Sono attualmente una delle band più sbalorditive delle nostre parti. Ci sono anche grandissime band di San Francisco ed Oakland come i Drunkhorse, i Sic Alps, gli Assemble Head in Sunburst Sound e tante altre che non fanno proprio quello che facciamo noi, ma che hanno avuto un percorso simile al nostro.
Qual è il vostro rapporto con l’elettronica? E’ un elemento che in futuro potrebbe accaparrarsi uno spazio sempre più grande nella vostra musica?
Ci sono varie analogie elettroniche fra ciò che suono io e ciò che suona il resto della band, che consistono fondamentalmente in un po’ di oscillatori e feedback. Ad ogni modo non ci vedo proprio ad utilizzare cose come sequencer o drum machine, se è questo ciò che intendi. Voglio dire, so che può sembrare strano pensarla in questo modo, ma sono sicuro che anche fra quindici anni, in un ipotetico tour di riunificazione, suoneremmo comunque con effetti digitali costruiti con dispositivi economici.
Quali sono le band anni 90 e attuali che ascoltate e quali fra queste sono quelle che vi hanno influenzato di più?
Ho già menzionato band come i Sonic Youth e i Dinosaur Jr. Penso però che i Jesus Lizard siano stati importanti dal punto di vista dell’ispirazione, soprattutto per quanto riguarda il modo in cui riuscivano a sprigionare intensità deliberatamente. Probabilmente le band degli anni 90 che ci hanno influenzato di più sono state band giapponesi come gli High Rise, Mainliner, White Heaven, Keiji Haino, Ghost ed Acid Mothers Temple.
Siete amanti del jazz? Alcuni (me compreso), parlando dei vostri album, hanno percepito influenze free jazz, citando talvolta anche Sun Ra. Quanto di tutto questo rispecchia realmente la vostra musica?
Probabilmente sono il più grande fan di jazz nel gruppo, specialmente di free jazz. Ho fatto ascoltare agli altri ragazzi un po’ di materiale e loro hanno cominciato ad apprezzare un po’ di jazz/free jazz indipendentemente dai miei gusti. Naturalmente ognuno interpreta il jazz a proprio modo all’interno del gruppo. Per me il free jazz è fondamentale, soprattutto nelle improvvisazioni delle parti elettroniche. Gli altri ragazzi invece ci mettono del proprio per quanto riguarda i tempi, i fraseggi e i duelli negli assolo di chitarra. Penso sia giusto dire che siamo tutti dei grandi fan di Sun Ra e che gente come gli Art Ensemble of Chicago e Peter Brozman sono stati una fonte di ispirazione molto importante per il collettivo.
Come è nato Avatar? C’è stato un qualche cambiamento nel vostro approccio con gli strumenti?
Ecco, noi cerchiamo sempre di creare un senso di distacco e di rinascita in ogni nuovo disco. Per la prima volta, con Avatar, abbiamo cercato di fare le cose in maniera più rilassata e figurativa. Tra l’altro abbiamo avuto a disposizione un po’ più di tempo per provare in studio le nostre idee e fare le cose in maniera giusta. Tutto questo ci ha portato alla creazione di un album molto più strutturato e curato. Comunque noi siamo sempre alla ricerca di nuove influenze e cerchiamo sempre di condividerle all’interno del gruppo, e sebbene cerchiamo sempre di fare le cose in maniera separata, alla fine queste tendono ad instaurarsi nella coscienza collettiva.
Ci sono dei posti in cui preferite suonare dal vivo, oppure ogni volta che suonate riuscite a mantenere un certo tipo di contatto con il pubblico?
Ci piace suonare in tantissimi posti. Quelli che preferiamo dalle nostre parti sono l’Hemblock Tavern e il 12 Galaxies, due posti assolutamente da vedere. Ultimamente non suoniamo molto al di là della Bay area. I nostri spettacoli migliori sono sempre a Los Angeles, New York e Londra, così come all’All Tomorrow Parties. Noi facciamo sempre del nostro meglio affinché i nostri concerti abbiano un responso adrenalinico da parte del pubblico. Perciò, alla fine, non ci importa tanto quando e dove suoniamo; l’importante è che ci sia sempre un manipolo di persone nella folla desiderose di scatenarsi e di divertirsi.
Secondo voi le droghe assumono ancora un aspetto fondamentale nella produzione psichedelica?
Non proprio. Voglio dire, ci sono stati migliaia di sperimentatori prima di noi che hanno letteralmente sfinito i propri corpi e le proprie menti per creare quella che è la miglior musica psichedelica di tutti i tempi. Quindi ci sono tantissime ragioni per ascoltare quel tipo di musica a mente aperta e per ricercare qualità trascendentali all’interno di quei lavori. Lo puoi fare con le droghe, con il vino o con nulla di tutto ciò. Insomma, ognuno ha un modo diverso di assumere droghe e di trascendere attraverso la musica.
Che ne pensate della situazione politica americana e dell’influenza che questa ha sul mondo?
Pensiamo che tutto questo sia molto preoccupante e, nonostante non ci vediamo come una “band politica”, seguiamo giorno per giorno il subbuglio che il nostro governo e i nostri media hanno creato in tutto il mondo. E’ una cosa orribile e sconcertante, ma noi non siamo una band politica da questo punto di vista. Le nostre non sono canzoni politiche, ma allo stesso tempo lo sono ad un livello più nascosto nel senso che noi cerchiamo di fare serie constatazioni riguardo la realtà e la fantasia. Mi piace pensare che l’estetica del nostro sound sia tanto un “vaffanculo” quanto una canzone che dichiara esplicitamente il fatto che il nostro governo sia costituito da un mucchio di bastardi assetati di denaro.
Quel è il vostro rapporto con internet e quali sono secondo voi i cambiamenti che questo ha portato sulla musica?
Ho lavorato in un negozio di dischi per diversi anni negli Stati Uniti e riesco sicuramente ad identificarmi con chi vede quel tipo di business in maniera negativa. Ma allo stesso tempo, penso che questi problemi siano da attribuire alle case discografiche e alla loro perdita di tatto riguardo a ciò che la musica è realmente (e riguardo al modo di venderla). Voglio dire, la musica commerciale in America è qualcosa di veramente indecente. Qui la musica popolare è spaventosa, ed è altrettanto spaventosa la velocità con cui questa sembra sparire nell’aria dopo poche settimane o mesi di successo. Allo stesso tempo internet crea una miriade di opportunità per tutte quelle band che vogliono sottrarsi al vortice di tutte queste arene che risucchiano linfa vitale alla musica dell’intero globo. D’altro canto ogni band può crearsi il proprio spazio su myspace il giorno stesso in cui scrive la prima canzone. Già, le cose vanno in entrambi i versi! Autore: Angelo D. Delliponti
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