Own records è una etichetta lussemburghese, con un catalogo ricco di proposte interessanti – artisti ricercati del vecchio continente – e uno sguardo attento alle pubblicazioni più stimolanti d’oltreoceano.
E’ il caso del terzetto di Denver (Colorado, U.S.) la città affacciata sulle Montagne Rocciose , guidato dal cantante, poeta e musicista Kael Smith, accompagnato da Jme White e Matt Heron al piano ed altri aggeggi. I Khale , alla loro prima realizzazione, uniscono una squisita sensibilità pop a precise trame elettroniche di grande spessore lirico.
Un tempo l’avremmo definito glitch-pop, e l’album non avrebbe sfigurato nel bel catalogo Morr Music, tra i Couch e gli Styrofoam, o i beniamini Lali Puna, artisti che hanno infarcito l’elettronica formale di ammiccanti melodie e nenie struggenti.
Discorso valido per tutte le tracce di “Sleepworks”, dalla iniziale “Garrison”, segnata dall’incedere di un piano, attraverso landscapes sonori; continuando con “The Living Desert”, sottolineata dall’ormai riconoscibilissimo, ma pur sempre efficace, frammento ipnotico glitch-ato e mandato in loop.
“Little Black Bed” e “Meanwhile, As I Await Guests” arrichiscono il bianco e nero delle precedenti tracce, grazie al largo uso di strumentazioni, messe in opera dai compari Jme e Matt.
Sono questi i brani che potrebbero suggerire l’ascolto del disco, tracce per le quali la materia organica e quella sintetica si coniugano in un abbraccio intimo e commovente, un legame persino spirituale, finalizzato ad accompagnare le esistenze.
Autore: g.ancora