La parabola dei Cake di John McCrea può essere presa a modello per tracciare la traiettoria di tante band indie. Nei primi anni ’90 i Cake, sono stati lì lì per entrare nel mondo del mainstream. Grazie ad alcuni hit di successo ironici e briosi e un paio di album di rara freschezza i ragazzi di Sacramento avevano attirato l’attenzione delle major.
Puntuale come un orologio era arrivato il contratto per un album (Pressure Chief) che doveva rappresentare la consacrazione definitiva. Invece proprio sul più bello, la magia era svanita. L’album aveva disatteso le aspettative e l’insuccesso si era portato via anche l’interessamento della major. Sono passati ben sette anni nei quali la band era finita quasi nel dimenticatoio, poi uno scatto d’orgoglio e la nascita di una propria etichetta discografica, la Upbeat Records, ed infine l’uscita di questo album a celebrare quasi il ventennale di carriera.
Showroom of Compassion, dopo il passo falso del 2004, rappresenta un ritorno che offre buoni spunti. Abbandonata, fortunatamente, la sperimentazione a tutti i costi i Cake ci restituiscono le loro melodie semplici ma coinvolgenti, ai soliti imprevedibili fiati e alla voce di McCrea sempre in bilico tra cantato e parlato. In più, rispetto al passato, c’è un suono più robusto per il maggior peso riservato alle tastiere che conferiscono una tonalità Seventies, e alla chitarra di Xan McCurdy che regala riff minimali ma anche molti riverberi.
Si comincia con due brani che condividono un andamento oscuro che trasmette uno strano sentimento di depressione. Federal Funding è un rock ruvido spoglio con una linea di basso strisciante. Long Time ammicca ironicamente alla lunga assenza dalle scene con la tromba di Di Fiore che entra prepotentemente in scena.
E’ letargica e ipnotica. Ma le vere perle arrivano con Mustache Man e Sick Of You in due tra le cose migliori ascoltate quest’anno.
Mustache Man ha un ritmo funk in crescendo, diretto e incalzante. Sick Of You propone invece, sugli intrecci di basso, organo, chitarra e tromba, il tipico cantato/parlato di McCrea. Bello è anche il testo (I’m so sick of work/so sick of play/I don’t need another day/I want to fly away/I want to fly away/Every shiny toy/That at first brings you joy/Will always start to croy and annoy/Every camera every phone/All the music that you own). Uno sfogo come l’ha definito lo stesso John McCrea, <
A far da cornice ci sono inoltre il ritornello ipnotico di Got To Move. La raffinata Whats’ Now Is Now, cover di un successo del 1969 di Frank Sinatra. Il folk polveroso di Bound Away. The Winter una ballata malinconica che offre un diverso registro.
Alla fine è un peccato che la strumentale Teenage Pregnancy, l’elettro-rock di Easy To Crash e la parodia ironica di Italian Guy si dimostrino più che altro un riempitivo rispetto al resto dell’album.
Ad ogni modo il giudizio resta positivo. Quante band conoscete in grado di scrivere canzoni con una tale varietà di stili venendo fuori da un così lungo periodo d’assenza?
Autore: Alfredo Amodeo