L’Italia ha un cantautore post-folk che si muove nel genere molto prolifico di questi anni popolato da Turin Brakes, Father John Misty, Lanterns on the Lake, e tanti altri, e purtroppo la cosa è nota a pochi qui dalle nostre parti. Eppure An Early Bird ha superato il milione di ascolti su Spotify e nel 2023 ha aperto il tour italiano di Fink. Nel suo percorso si è trovato a suonare in egual misura sia in Italia che all’estero, attraverso dei tour regolari soprattutto in terra tedesca.
An Early Bird però è italianissimo: al secolo il suo nome è Stefano de Stefano, di origini napoletane ma di stanza attualmente a Milano, e il suo nome d’ arte è già una dichiarazione di intenti.
Anche l’immagine evocata dal nome De Stefano si richiama al panorama musicale che gli fa da ispirazione profonda, e di cui sono impregnate le canzoni di questo disco, il suo quinto lavoro compiuto, A Beautiful Waste of Time, in uscita attraverso la Awal, ovvero il glorioso folk contemporaneo, che sconfina a volte nel Dream Pop stile Daughter, ai quali per esempio è vicinissima la canzone che introduce il disco, la dolcissima Dreamless, già essa stessa un piccolo capolavoro di voce sussurrata, batteria leggera (suonata da Mattia De Cretico), melodia ariosa e violini, suonati da Aura Fazio.
Sullo stesso stile, con simili ritmi di batteria, è So Easy, che insieme a Dreamless e To Grow Love sono i tre pezzi in assoluto più evocativi e riusciti del disco, perché coniugano bene il classico del folk tutto chitarre acustiche, con sfumature e armonie contemporanee, come per esempio la voce soffusa ed evocativa.
In Stone e Sober Love vedono due importanti collaborazioni, rispettivamente con Tyler Ramsey (Band of Horses) e con &Tilly, e sono delle ballate di folk più tradizionale, decisamente emozionali. De Stefano non è nuovo del resto a lavorare con talenti stranieri, e anzi in alcuni casi anche con nomi prestigiosissimi: ad esempio Still Shine, è in questo disco una autentica sorpresa perché vede una collaborazione illustre, perché vi partecipano le chitarre dei Turin Brakes.
Writing on the Sand, in assoluto la canzone più tradizionale in lista, non per questo però meno interessante e emotivamente coinvolgente. Whenever, whatever chiude il disco con una ballata acustica che nel suo folkeggiare ammicca addirittura al country-pop.
I temi del disco sono allusivamente indicati nel titolo: si evoca il viaggio in sé piuttosto che la destinazione. L’autore ci ricorda che non importa quanti sforzi e sacrifici ci siano dietro le cose, non è detto che il risultato sarà uguale a quanto investito con passione e amore. Questo vale per una relazione, un lavoro, un’amicizia e anche il fare arte, il registrare un disco. Ma finché queste cose daranno un senso alle nostre giornate, dice l’autore, queste saranno bellissime, dovessero anche rivelarsi una fantastica perdita di tempo.
E certamente è una “fantastica perdita di tempo” ascoltare questo disco evocativo e leggero, arioso e solare, intimo e melodico, e quando trovi dischi così succede in realtà che il tempo non è nemmeno perso ma è guadagnato alle nostre orecchie e alla nostra mente.
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