autore: Vittorio Lannutti
C’è crisi di valori (dicevano i Disciplinatha tanti anni fa), manca un collante sociale, secondo il sociologo francese Alain Touraine e allora i Neurosis sono lì a ricordarci che dai momenti di crisi si possono trovare molti spunti e motivazioni ad andare avanti.
Il gruppo californiano ce lo suggerisce con il decimo album, registrato da Steve Albini, nel quale non solo fortifica il percorso intrapreso con il precedente “Given to ghe rising” con un sound ancora più possente ed evocativo, ma soprattutto con liriche altamente poetiche ed introspettive.
I Neurosis non si sono mai interessati alla politica e si sono sempre concentrati sul loro inconscio di gruppo, tuttavia, recuperare se stessi, non perdersi, cercare una direzione è un atto altamente politico che va al di là del passaggio elettorale o delle ideologie.
In questo consiste la grandezza di questo gruppo, che in “Casting of the ages” nell’apparente nichilismo alla fine se ne escono con una frase come “L’età senza fine è una/un tempio dentro di noi/porta la decisione al sole”. Questa è Poesia. Sfido chiunque a trovare un livello poetico così elevato oggi in ambito rock e dintorni.
Questa è soltanto una delle tantissime, oltre che la migliore, strofa poetica. In tutto il disco si respira un’aria sia apocalittica sia di riscossa e voglia di reagire a momenti soffocanti al limite della depressione.
Il disco procede con momenti altamente profondi in un’altalena di implosione ed esplosione.
La caratteristica dominante in tutto “Honor found of decay” è l’intensità che emerge soprattutto grazie alla lunghezza del disco: un’ora per sette brani.
Tuttavia, le tracce seguono sempre un percorso dialettico ed evolutivo perchè attorno ai testi il gruppo ha costruito delle strutture sonore valide, solidissime, inespugnabili nelle quali perdersi e ritrovarsi in un gioco catartico collettivo e personale.
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