Questo lavoro del compositore e strumentista Hue può essere approcciato in due modi, completamente distinti: o si cerca di coglierne il significato in termini compositivi e suggestivi, valorizzando la ricerca che è alla base dell’ispirazione del prodotto, e allora si deve sottolineare che è un prodotto musicale fatto più di silenzi e rumori che di suoni: nell’estate del 2003 (tra le più calde estati della storia, tutti ricorderanno), l’autore è andato in giro per villaggi e campagne del Centro Italia registrando suoni e voci (anche spezzoni di dialoghi umani) con un microfono, e li ha poi mixati, alternandoli con momenti di ispirazione musicale, che prendono appunto il nome dai posti visitati (Medelana, Laterina, Ariccia, Casaline), e che diventano veri e propri brani di composizione pura strumentale, in cui si cerca di riprodurre mediante suoni l’atmosfera di calura opprimente (e si potrebbe scomodare addirittura il poeta Montale e il suo analogo tentativo di ritrarre l’impassibilità dell’estate in versi, ma forse non è il caso di spingersi fino a tanto). In tal caso, comunque lo si valuti, Un’estate senza pioggia va visto come un lavoro intellettuale e concettuale piuttosto che creativo e istintivo, insomma un prodotto di cultura più che di intrattenimento.
Oppure, al contrario, lo si giudicherà come un prodotto insopportabilmente macchiato di euforie new age e ambient, intollerabilmente intellettualistico e quindi futile, come futili appariranno i passaggi dialogati o gli intermezzi di cascate e frusciare di erbe di ogni tipo, e allora lo si deve condannare inesorabilmente come qualcosa che non è musica leggera ma non è ancora composizione o tantomeno arte.
Fate un po’ come credete, ma in ogni caso non chiamamola musica: è fatta per intenditori o fanatici del genere, non certo per ascoltatori medi.
Autore: Francesco Postiglione