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Intervista: Sylvain Chauveau

di Redazione
16 Dicembre 2013
in Interviste
Tempo di lettura: 4 minuti
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Per l’uso che fa del piano nelle sue composizioni, è stato paragonato a grandi maestri del passato come Debussy e Satie. Ma lo stesso Chauveau non sembra essere molto convinto di questi accostamenti, come ci spiega nell’intervista che segue.
Per i disturbi elettronici che “sporcano” la sua musica minimale e malinconica, il suo nome è stato affiancato a quello del guru della glitch-music Christian Fennesz, con il quale il nostro ha anche recentemente collaborato.
Titolare di tre album col duo ambient-rock Micro:Mega e di un primo disco solista provocatoriamente intitolato “Le livre noir du capitalisme”, Sylvain Chauveau ha firmato recentemente la colonna sonora del film “Des Plumes dans la Tête”.

Perché il titolo “Le Livre Noire du Capitalisme”?
Perché quando ho cominciato volevo fare qualcosa di fortemente politico, allora ero molto vicino al movimento anarchico. Ho provato così ad esprimere un concetto del genere. Era molto importante il titolo in quell’album, trattandosi di un disco di sola musica. Questa mia militanza è durata fino ad un anno e mezzo dopo quel disco, poi mi sono innamorato…
Nel tuo uso di campioni, suoni, glitch, leggo un intento chiaramente politico. E’ solo una mia impressione?
Non credo sia vero, perché se ascolti suoni, note, è veramente difficile trovarne il significato razionale. E’ un linguaggio differente, quello della musica, con le sue regole specifiche.
Ma ad esempio ho trovato geniale l’utilizzo di voci campionate dai porno unite al piano classico, questa soluzione se non ha un senso decosruttivo, che senso ha?
Perché il suono era davvero interessante, c’era qualcosa di molto intenso.
Creava un contrasto con la tua musica così soave.
Si, forse nel passato avrei calcolato volutamente quest’effetto, adesso, se l’ho inserite è solo perché le trovavo valide musicalmente.
Ti ci ritrovi nei numerosi paragoni che la critica fa di te a Satie, Mahler, Debussy?
Ho letto in alcuni articoli paragoni nei miei confronti a Satie, Debussy, ma la mia musica è in realtà molto diversa: si, in comune c’è il piano solo, ma non è utilizzato allo stesso modo. La mia musica è molto più semplice, molto più immersa all’interno della cultura pop e rock, con le sue ripetizioni e melodie semplici, accordi più immediati, facile da suonare.
Non ci vedo veri punti di contatto. Credo che più che altro che i paragoni scattino perché queste due figure sono state dei grandi pionieri, due punti di riferimento importantissimi, specialmente in Francia. Così la maggior parte degli ascoltatori che cerchi qualche somiglianza con la mia musica è subito portato a pensare a questi grandi esempi del passato.
C’è una componente nostalgica in ciò che fai? Penso alla splendida giostra illuminata presente in copertina di “Un Autre Decembre”. Un sentimento paradossalmente molto presente nella tradizione elettronica.
Si, assolutamente, credo che ciascuno abbia qualcosa che ha perso, e che rimpiange.
Qualcosa che cerca, anche inconsapevolmente: un posto dove vivevi, persone lontane.
Anche un sentimento legato alla crescita, fase in cui ci si lascia sempre alle spalle qualcosa. Ciascuno ha la propria terra perduta, anche chi vive tutta la vita nello stesso posto. Un luogo magari immaginato, che cerco di descrivere con la mia musica.
Hai conquistato il cuore di Cristian Fennesz, Cosa vi unisce? E come ti sei trovato a lavorare con lui?
Suonammo insieme a Maggio 2004 in un festival di musica estemporanea. L’occasione di suonare insieme ci fu perché un giorno, completamente inaspettata, mi arriva una mail che dice: “Salve, sono Cristian Fennesz, congratulazioni per il tuo disco, sarei felice di suonare insieme a te”.
Io conoscevo gia la sua musica, trovandola da sempre fantastica.
Prima di quell’occasione non avevamo mai suonato neanche una nota insieme. Ma ci trovammo bene ad improvvisare. Cominciammo piano, perché venivo da un concerto molto rumoroso il giorno prima con la band. Cristian ci assecondava con i suoi suoni. Data l’esecuzione, non riuscivo a credere che quello che stavamo facendo non fosse mai stato provato. Il risultato fu così buono che decidemmo di fare un disco insieme.
La musica che fai come solista è nell’attuale panorama delle label di elettronica piuttosto atipica, cosa ti ha avvicinato a questo mondo, come ti ci relazioni?
E’ un mistero anche per me. E’ strano perché dopo “Le Livre Noire du Capitalisme” che uscì solo in Francia, mi arrivarono offerte per il secondo album da FatCat, poi due mesi dopo anche da Disques du Soleil, così ho lavorato per entrambi.
Stavo preparando qualcosa che fosse più affine alla linea editoriale di queste label, con una più presente componente elettronica, ma non ne ero convinto, così ho buttato via tutto il materiale e sono ripartito dal piano e da pochissimi elementi di elettronica.
La FatCat ha ascoltato il lavoro solo alla fine e non ha mai posto condizioni. Sono stato onorato di lavorare con questa label in particolare, che tra l’altro mi ha dato l’opportunità di aprire un concerto dei Sigur Ròs, suonando il piano davanti a tremila persone.
Nell’uso della foto in bianco e nero del muso di cavallo in “Le Livre Noire” ci leggo un riferimento a Guy Debord. Sembra un fotogramma del suo film “Urla in favore di De Sade”, visto anche il titolo, non mi sorprenderebbe. Anche il riferimento ad un’estetica decostruttivisti pare molto presente nella tua opera.
Non so molto di Derida e del decostruttivismo. Il pensiero di Debord invece è stato davvero fondamentale per la mia formazione. Specialmente nella fase della mia vita più impegnata politicamente ha rappresentato il modello di chi non ha mai sentito il bisogno di scendere a compromessi.

Autore: PasQuale Napolitano
scnet.free.fr fat-cat.co.uk/fatcat/artistInfo.php?id=63

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