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Intervista: SONGS WITH OTHER STRANGERS

di Redazione
16 Dicembre 2013
in Interviste
Tempo di lettura: 6 minuti
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E’ un network atipico questo: 11 musicisti da 4 paesi diversi, una collaborazione accattivante. Un esperienza di musica e comunità basata su affinità e passioni da condividere con persone per cui suonare vuol dire la stessa cosa.
Abbiamo incrociato la loro rotta al Teatro Mediterraneo, in occasione della terza data della rassegna kaleidoscope|01.
Ne parliamo con alcuni dei protagonisti: Manuel Agnelli, Cesare Basile e Hugo Race (della super-band fanno parte anche John Parish; Jean Marc Butty dei belgi Venus; Stef Kamil Carlens – già bassista dei dEUS, poi fondatore dei Zita Swoon; Giorgia Poli; Roberta Castoldi; Marcello Sorge e Marta Collica).

Com’è nato il progetto che state portando in giro?
Cesare Basile: E’ stata un idea di Marta Collica, ci siamo trovati per caso a suonare a Catania, poi ci siamo ritrovati a Villa Arconati, a Milano, dove anche Manuel si è trovato coinvolto, ci siamo divertiti e ci siamo detti: “dobbiamo rifarlo”, e da li la Mescal ha pensato di far diventare tutto questo un tour.
Quanto c’è del Tora!Tora! nello spirito di quest’esperienza?
Manuel Agnelli: Sono due cose completamente diverse. Quello rappresenta una scena, mentre qua siamo un gruppo di musicisti con una storia personale molto diversa l’una dagli altri, ma con la stessa sensibilità musicale. Nel Tora!Tora! non c’è un insieme di gruppi con la stessa sensibilità musicale, c’è piuttosto la stessa attitudine verso la musica, poi in realtà, pur suonando cose molto diverse, è stato facile collaborare.
Come si è arrivati alla definizione definitiva del cast così com’è? C’è qualcuno sugli altri che ha operato una scelta?
Hugo Race: Mah… noi suoniamo. Non c’è un direttore del gruppo. Abbiamo i nostri spazi, ma è piuttosto l’anima del gruppo a prevalere.
C.B: Diciamo che sappiamo quando stare zitti!
M.A.: La sensibilità si trasforma anche in complicità a questo punto. All’interno del gruppo ognuno sa quando è di troppo. Non è una questione di 30% a testa, è una questione di capire quando funziona e quando non funziona. Se la musica non ha bisogno di me io vado fuori dal palco, e questo è bellissimo secondo me.
C.B.: Ognuno di noi è al servizio delle canzoni dell’altro, è questa la regola.
Dietro questo live ci sono molte ore di prove, o vi lasciate andare all’improvvisazione?
C.B.: Non è che improvvisiamo, i pezzi sono scritti, è poi la complicità che ci porta a suonare lo stesso pezzo insieme. Sappiamo che ogni pezzo che suoniamo ha una sua struttura, e ci pieghiamo a questa struttura.
M.A.: Però abbiamo provato poco, perché sono convinto che le nostre affinità ci consentono di suonare molto bene insieme senza provare tanto.
C.B.: Ci sono pezzi che suoniamo direttamente durante il concerto, che magari abbiamo suonato singolarmente, magari intorno al fuoco, oppure mai. In questo senso lo spettacolo è improvvisato, non nel senso classico del termine, perché è la canzone che comanda.
Non è quindi un’ improvvisazione in senso jazzistico….
M.A.: nooo, figurati.
C.B.: Ma c’hai visti?!
Così, rispetto al live classico, ingessato, l’interpretazione può rimanere più fresca.
M.A.: C’è una regola che abbiamo stabilito: quella di provare ogni sera almeno un pezzo nuovo. Così da mantenere la concentrazione al massimo, sempre. Questo ci consente di mantenere un’intensità all’interno della canzone.
E per quanto riguarda l’esecuzione, come vi regolate?
C.B.: Nel modo più semplice del mondo: qualcuno comincia a suonare, magari qualcun altro lo segue, ci si domanda: “tu lo sai sto pezzo?”…”e tu?” e si suona. Anche le canzoni dei nostri stessi repertori sono venute fuori assecondando i gusti degli altri. Ci siamo chiesti a vicenda quali canzoni ci piaccia suonare.
Un esperienza che accomuna tutti e tre: aver fatto una cover di De Andrè, come vi siete approcciati ad una figura così importante per la musica italiana?
M.A.: Io con grosso rispetto, ma se non si è convinti di fare qualcosa soprattutto per se stessi, allora è inutile farla. E’ brutto fare un tributo a qualcuno, se questa cosa poi non diventa anche tua a livello musicale, poi quando cerchi di farla diventare tua un po’ d’arroganza è chiaro che ce l’hai, un po’ di presunzione. Ma o fai così, o altrimenti è inutile farla.
C.B.: Non ripetere pedissequamente quello che stai interpretando non vuol dire non avere rispetto per quello che stai suonando, anzi.
H.R.: Chiaramente per me quella di De Andrè non era una figura così ingombrante, perchè non avevo mai ascoltato nulla di lui prima di suonare con Cesare per questo tributo. Forse sono stato più libero.
Come per il tributo a Mario Merola! Che percezione hai tu della scena musicale italiana?
H.R.: Mi rendo conto, anche tramite esperienze come questa, che qualcosa sta cambiando nella musica italiana.
Si è consapevoli del valore di punto di riferimento che si ha per gli artisti di un’intera generazione?
M.A.: Si, ma, sinceramente, questa cosa io la vivo per me, perchè è importante per me confrontarsi con dei musicisti internazionali che possano avere qualcosa da insegnarmi, per cui l’ho fatto per crescere come musicista. Non per chissà quale scopo, ma sono d’accordo con Hugo che queste occasioni sono importantissime. Fare musica italiana con musicisti internazionali fa vedere agli altri musicisti che questa cosa è possibile, è bella.
A proposito, prevedete anche date all’estero?
C.B.: Ormai la barca è stata varata, tanto vale andare.
M.A.: Tanto di pressioni non ne abbiamo,anch’io se qualche volta vorrei dire “dovremmo fare…” mi ripeto: “calma”, “easy”…
C.B.: Salire su un furgone non costa tanto. Basta aprire lo sportello, e avere voglia di farlo.
A proposito di collaborazioni, Manuel, com’è stato lavorare con Greg Dulli?
M.A.: Mi sono adattato ad una band già esistente suonando le loro canzoni come volevano loro, non è stato difficile, in più mi sono divertito moltissimo. Qui il discorso è molto più complesso, perchè le canzoni non sono come le vuole qualcuno, ma come pensiamo di volerle tutti noi.
Dulli ha anche prodotto l’ultimo disco degli Afterhours.
M.A.: E’ stata un’ esperienza che valeva la pena fare, come anche Cesare aveva fatto con John Parish e lo stesso Hugo. Se non si è abbastanza scemi ci si rende conto che bisogna imparare ancora. Ho prodotto tutti i nostri dischi, ma mi sono reso conto che sarebbe stato stupido andare avanti così, dovevo imparare qualcosa da qualcun’altro, per cui in questo disco abbiamo lavorato con Greg ed abbiamo imparato da lui. John ha missato metà del disco e missa in modo completamente diverso da come avrei fatto io, e questa sono cose che ti fanno crescere tantissimo.
C.B.: Poi è proprio questo affidarsi al talento e all’esperienza di altri musicisti che spesso viene meno.
M.A.: Senza rischiare, facendo tutto in modo comodo, non riesci ad arrivare a quel quid in più.
Il rapporto con gli altri musicisti è anche il rapporto con i musicisti del passato; com’ è stato travestirsi dagli Area?
M.A.: Molti potrebbero avere dei timori reverenziali, il fatto che gli Area fossero un gruppo di un certo tipo, che ha suonato in un certo clima. Oltre al fatto non saremmo stati tecnicamente capaci di riprodurre i loro brani. Ma non è questo il punto: non è una partita di tennis ne un esercizio ginnico. Se riesci a dare un senso a quest’esperienza bene, se non ci riesci, male, anche se l’esercizio è venuto perfettamente.
Anche l’approccio alla politica è diverso….
M.A.: in quel periodo se non eri “politico”, non eri niente, al massimo eri per San Remo.
C.B.: Non c’era un’alternativa all’alternativa.
M.A.: Poi gli Area erano politici alla loro maniera, erano delle mosche bianche, molto criticati anche nel movimento. In questo mi ci riconosco, perchè non sono schierato con i dogma dell’alternativo in Italia.
C.B.: Io in questo sono molto Buckovskiano: “Occuparsi di politica è come cercare di metterlo in culo a un
gatto”!
M.A.: Potrebbe essere piacevole…almeno per il gatto…
C.B.: Secondo me farebbe piacere anche a te! [risa] … Il che non significa non avere delle idee.
M.A.: Ho una responsabilità quando dico delle cose, ma non sono un politico, quindi le cose che dico corrispondono alla mia visione del mondo, ma citare gli slogan per cui la sinistra è meglio della destra sarebbe davvero grottesco. Che poi nel mio privato faccia le mie scelte politiche (peraltro non lascio nascoste a nessuno), ma sul palco ho la responsabilità di essere davvero sincero.
C.B.: Poi se sei ti schieri comunque, anche non parlandone direttamente.
M.A.: esatto, anzi vorrei fare questa domanda a Hugo: pensi che fuori dell’Italia il fatto per un musicista di avere un ruolo politico sia davvero importante?
H.R.: No, però è importante per la propria persona.
M.A.: Grazie Hugo.Autore: PasQuale Napolitano foto di : Angelo Pesce, Daniele Lama (Thanks to Luca Mauro Assante)
www.spookyrecords.com www.cesarebasile.tk www.afterhours.it

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