Ripensando a “Giorni e nuvole”, l’ultima opera di Silvio Soldini, mi è balzata alla mente l’epopea fantozziana e pensavo a quanto l’Italia sia cambiata.
Fantozzi incarnava l’uomo medio: intelligenza media, stipendio medio, casa media. Era un subalterno con poca consapevolezza della propria dignità umana, che spesso veniva usurpata dai propri superiori, ma mai era realmente vissuta come una sconfitta del proprio ego.
Ugo, alla sue spalle, conservava un profondo senso di speranza, di sicurezza nel futuro, di infantile irresponsabilità e menefreghismo quand’anche affondava nei più melmosi antri dell’esistenza umana.
“Sono una merdaccia” ripeteva come un pappagallo, “sei una merdaccia” gli ripetevano come un mantra infinito, senza mai scalfire il nocciolo duro della sua esistenza.
Non ricordo di Fantozzi disperarsi perché umiliato (tuttalpiù perché rifiutato dalla signorina Silvani), qualche volta si sarà anche ribellato ma più come atto narcisistico che come necessità dell’animo.
Fantozzi era lo specchio di un’epoca in cui la dignità e l’identità umana prescindevano dal lavoro: lavorare era una certezza e più spesso un fastidio, una noia mortale tra cartellini da timbrare e una socialità imposta fatta di pranzi aziendali, cineclub e sport di gruppo.
Altri i crucci di Fantozzi non di certo il vuoto dell’esistenza borghese dei coniugi protagonisti dei film di Soldini.
Michele (Antonio Albanese) a differenza di Ugo, ha una bella casa, una moglie affascinante , una figlia rompiballe, una barca. Lavorava in una società sua, 4 mila euro di spese al mese, cene con gli amici e colf a fare i lavori domestici. Ventuno mila euro di risparmi e un lavoro improvvisamente perso nei meandri della nuova Italia, ricca ma allo stesso tempo povera, globalizzata eppure marginale nei suoi confini territoriali.
Aspetta che la moglie si laurei per dipanare la sua matassa di fallimenti. È uno buono, che non vuole cedere alle proprie convinzioni, che è convinto di cavarsela e conservare le proprie abitudini ma che della società in cui vive non sa niente.
Non sa dei job center, non conosce il lavoro interinale, i call center, la flessibilità, la precarietà.
Qualcuno “si è permesso” di dire che il film di Soldini – presentato all’ultima Festa del Cinema di Roma- parla finalmente della realtà: suona azzardato. Se volessimo usare il metro della quantità allora potremmo dire che la sua è soltanto una visione marginale di quello che realmente accade a quanti di noi si trovano ad affrontare il mondo del lavoro nell’era della new economy.
Il calvario di Michele ed Elsa (Margherita Buy) è soltanto un’impercettibile esperienza rispetto a ciò che accade quotidianamente. Un calvario che scalfisce la dignità, che assoggetta, che modifica le relazioni personali, fa vergognare.
“Giorni e nuvole” non racconta della società e dei suoi cambiamenti. Il mondo è sullo sfondo costretto a vivere il dramma personale di una coppia che forse si ama, forse non più. Di una famiglia che basava la propria esistenza su uno status, disciolto nel corso degli eventi.
Uno status, che non era solo un vestito, ma la propria identità, il proprio essere nel mondo la vita. E ora ogni rinuncia ogni sforzo sembra insopportabile. Ogni azione una sodomizzazione. Una violenza vissuta in maniera impassibile anche quando Elsa si fa in quattro, mentre Michele insegue le nuvole dei suoi pensieri e delle sue speranze.
Profondamente smarrito, ha perso le sue certezze. Rincorre il passato, attraversa il presente, insegue il futuro ma è sempre lì nel salotto di casa a schiacciare bottiglie di plastica.
Svegliati Michè che ancora non hai visto niente…
Autore: Michela Aprea