Era da tempo che volevo scrivere di questo disco. Me ne occupo solo ora con colpevole ritardo: meglio tardi che mai, perché non si può lasciare passare inosservato il nuovo album del talento musicale più cristallino che l’Australia ci abbia regalato negli ultimi quindici anni. Stiamo parlando di Stewart “Leadfinger” Cunningham che, dopo il debutto da solista del 2007, “The Floating Life”, ritorna ora in pista con una band che porta il suo nome.
Era da tanto che Stew stava meditando di rientrare a calcare le assi dei fumosi club della terra dei canguri: un’attività che conosce bene sin dai tempi ormai lontani dei Proton Energy Pills. E poi di Asteroid B-612, Brother Brick, Challenger 7 e Yes-Men. Formazioni straordinarie su cui – negli ultimi quattro lustri – ha impresso il suo indelebile marchio di fabbrica come brillante chitarrista e songwriter.
Se “The Floating Life” metteva in mostra il versante più intimo e romantico del musicista di Sydney, questo nuovo “Rich Kids” contempla le due anime di Leadfinger: quella rock’n’roll, straripante e poderosa, e l’altra più marcatamente personale. Accompagnato da Steve O’Brien alla batteria e da Wayne Stokes al basso, Leadfinger disegna un percorso sonoro in undici tappe, ora elettrificate e nervose, ora acustiche e piene di lirismo.
Si parte con “Fade Your Brilliance”, un brano con cui la band gioca a carte scoperte mettendo a nudo la propria cifra stilistica: una melodia incline alla nostalgia filtrata attraverso un fantasioso approccio chitarristico ben sostenuto da una ritmica solida e puntuale. Il primo vero scossone arriva con la stupenda title-track, “Rich Kids Can’t Play Rock’n’Roll”: uno scintillante episodio power-pop con un ritornello a presa immediata che ti esplode in testa sin dal primo ascolto. Quindi il terzetto australiano mischia le carte e alterna episodi dal forte approccio rock’n’roll ad altri più melodici. Così “Show You I Care”, uno dei brani più riusciti dell’album, parte come una ballata visionaria per poi esplodere nel finale, “Andy Farrell Blues” è solo un frammento acustico che cede il passo all’impatto frontale di “Devil’s Holiday” e alla nuova versione, ancora più coinvolgente, di “Thin Lizzy On My Mind”, un gioioso e solare inno power-pop. Senza soluzione di continuità si cambia atmosfera: la successiva “Ghost Ships”, firmata da Chris Bailey dei Saints, è un episodio elettro-acustico che nasconde tra le sue pieghe l’amore per il roots-rock americano. Ma il meglio del disco deve ancora arrivare con “Northern Rivers Town”, un delicato episodio che tocca le corde più intime del nostro cuore, e le fa vibrare. E con la conclusiva, poetica “I Went Searching”, remake della splendida “I Went Looking” con cui si apriva “The Floating Life” e che in questa nuova veste, a tre, si arricchisce di sfumature inedite.
Autore: Roberto Calabrò