Potrebbe accadere, e chissa che non stia gia accadendo, che i danesi Dragontears superino per considerazione, nella testa del leader Lorenzo Woodrose e addirittura nel cuore dei fans, il gruppo madre Baby Woodrose. Forse messa così è un’esagerazione, anche irriverente, verso i gloriosi BW, ma certamente non si può considerare questa band soltanto un progetto parallelo portato avanti a tempo perso, come invece gli Spids Nøgenhat ed i Pandemonica, altre band – questa volta davvero misconosciute – in cui pure Lorenzo Woodrose opera, sabotando il garage psych europeo e rendendolo più pericoloso. E’ chiaro che con i Dragontears, Lorenzo Woodrose (voce, chitarra, tastiere) si misura con quel segmento della psichedelia rock che ama da morire e a cui tanto di sè stesso dedica da anni, ma che sviluppa solo di striscio con i più tosti Baby Woodrose: le atmosfere lisergiche, dolciastre e rallentate di band di culto del passato remoto, quali The Deep, Freak Scene e, manco a dirlo, 13th Floor Elevators. Questo secondo album ci conduce nello stesso tunnel fluorescente disegnato in modo efficace sulla copertina del precedente ‘2000 Micrograms From Home’ (2007) – deludente, invece, la cover dell’album nuovo – e se in ‘The Freedom Seed’ si fa spazio la destrutturazione più totale, nel caso della cover di ‘Masters of War’ di Bob Dylan si rispetta invece la forma canzone con grande rigore. Certo, con tante guerre in giro, cantare ‘Masters of War’ oggi è ancora attuale, e lasciano sempre sgomenti le feroci parole della canzone di Bob Dylan contro i costruttori di armi da guerra: “e resterò seduto sulla vostra tomba, finchè non sarò persuaso che siete morti davvero“. Ma l’analisi di un album come questo, più che sui contenuti, deve passare necessariamente attraverso la descrizione del suono, elemento decisivo e centrale nella psichedelia; ed infatti è questo il punto di forza di un album che qualcuno troverà magari operazione nostalgia anni 60: suoni carichi di echi, feedback ed effetti di chitarra, organo, theremin e flauto cinese, solo per dirne alcuni. La formazione allargata dei Dragontears, ad ogni modo, comprende tutti e tre i componenti dei Baby Woodrose, dunque pure Riky Woodrose (basso) e Rocco Woodrose (batteria), più vari altri musicisti. ‘The Freedom Seed’, quasi 15 minuti, è il nocciolo dell’album: un crescendo inesorabile che poi cala e riparte due, tre volte, come un’onda cartesiana, ma sempre trattenuta, che si decide di non far sfociare mai in sfuriate banali e troppo prevedibili; ‘The River’, in apertura, 10 minuti di durata, è l’almanacco degli echi, dei riverberi e dei nastri mandati al contrario: praticamente un’istigazione all’Lsd. Riguardo l’accoppiata ‘Rocco’s Revenge/Dreamweaver 2′ sul finale, invece, non può essere tutta farina del sacco di Lorenzo Woodrose, ed infatti dal titolo possiamo intuire che c’abbia messo le mani il batterista Rocco Woodrose, ed è il pezzo che non t’aspetti: un mantra acido, digitale e techno, quasi ballabile.
Autore: Fausto Turi