“Il suicidio dei samurai”. Viene da pensare a “suicide samurai”: una delle prime canzoni scritte dal Kurt Cobain dei Fecal Matter. Viene da pensare che con questo titolo i Verdena abbiano deciso di prendersi in giro, facendo riferimento all’etichetta di “Nirvana made in Italy” che in molti hanno affibbiato loro, di scherzarci su. Viene infine da pensare che dopo l’uscita del precedente album, i Verdena non possano sfornare niente di meglio. In fondo “Solo un grande sasso” aveva visto la preziosa partecipazione (e co-produzione) di Manuel Agnelli (Afterhours), con spruzzate di Xabier Iriondo (ex Afterhours e attuale A Short Apnea) e Dario Ciffo (Afterhours)…cosa può desiderare di più questa rock band di Albino?
Innanzitutto, al trio originale si è aggiunto un quarto elemento: il tastierista Fidel Fogaroli, (già impegnato con loro nel “Solo un grande sasso tour”) ormai divenuto parte integrante e stabile del gruppo. Ed eccoci serviti. Con il loro terzo album i Verdena dimostrano di poter dare ancora molto, di saperci fare sul serio anche senza scomodare personaggi del calibro di Giorgio Canali (PGR, ha lavorato sul loro album d’esordio) e Manuel Agnelli. Si, perché questo è il loro primo album totalmente auto prodotto, registrato nel pollaio – studio di casa Ferrari. Una scelta coraggiosa che li ha impegnati sicuramente più di prima, ma i cui risultati (dovuti magari, chissà, all’ambiente più intimo e imperfetto in cui hanno lavorato) si fanno sentire. E suonano bene.
“Il suicidio dei samurai” è una conferma del loro talento rock, della loro abilità negli arrangiamenti, del taglio così particolare dei loro pezzi, del modo in cui vivono la musica. Per certi versi si potrebbe metterlo nel mezzo, tra l’essenzialità del primo album e la ridondanza del secondo; ma non è questa una cosa negativa, anzi. In media stat virus. La maturità che traspare nell’intero lavoro, sta proprio in questo: i Verdena sono riusciti a bilanciare nel modo migliore le due esperienze precedenti, mescolandole tra loro e fondendole in quello che è il loro album più bello.
Ne “Il suicidio dei samurai” c’è tutto: la penetrante tristezza di un brano come “Luna”; la dolcezza sognante di “Mina”; le impressioni di un amore ansioso e confuso che vengono fuori in “Phantastica”; la malinconia intrisa di atmosfere oniriche della bellissima “Balanite”. Il momento forse più alto si incontra in due brani di particolare spessore: “Elefante” e “Glamodrama”. Entrambi pezzi complessi e corposi, fatti di musica viscerale, nichilista, riflettono la consistenza dell’intero disco e, con forza, la maturità artistica cui i Verdena sono giunti. In questo album trovano spazio una ricerca più accurata della melodia, una voce evoluta (quella di Alberto Ferrari) che sa alternare sapientemente furia e dolcezza, e note e accordi capaci di cullare stati d’animo e distruggerli un attimo dopo.
Nonostante l’intervento di Fidel alle tastiere (che pure si fanno sentire), la struttura dei pezzi resta la solita, e in primo piano appaiono come sempre giri di chitarra pesanti, abilmente intrecciati tra loro, e basso rigorosamente distorto. Discorso a parte meritano i testi, decisamente migliori rispetto alle esperienze precedenti e più ricchi di significato. Nel complesso davvero un ottimo lavoro, una prova decisiva, un album sinuoso e penetrante, certamente non monotono, che lascerà pienamente soddisfatto chi guarda ai Verdena come ai nuovi messia del panorama rock italiano, e non potrà non sedurre chi li ha sempre giudicati come una cometa destinata a estinguersi in poco tempo.
Autore: Fabio Rennella